Parigi battezza le nove vite di Maria Sharapova

Il quinto titolo slam di Maria Sharapova arriva in quella Parigi che, due anni or sono, le aveva permesso di completare il Career Slam riportandola sulla prima poltrona del ranking confermandone il ritorno ai vertici dopo l’infortunio alla spalla destra che l’aveva costretta a un intervento chirurgico impedendole di essere competitiva dall’aprile 2008 – anno in cui a gennaio conquistò il suo terzo slam all’Australian Open – all’ottobre 2009 – quando a Tokyo strinse in pugno il suo 20esimo titolo WTA. Per tornare competitiva negli slam, Masha ha però dovuto patire parecchio tempo ancora. Dal successo a Melbourne, nel 2008 Maria Sharapova ha raggiunto un ottavo di finale al Roland Garros un secondo turno a Wimbledon e, il post intervento, le ha riservato un biennio disastroso, lenito, si fa per dire, da un quarto di finale agguantato al Roland Garros nel 2009. Caso vuole che a non far sentire Maria sull’orlo del precipizio sia stato un match di terzo turno disputato sul Philippe Chatrier nel 2010 quando uscì sconfitta per mano di Justine Henin per 6-2 3-6 6-3. Un punteggio che, a distanza di anni, farà dire a Masha: «Quel giorno mi dissi che se avevo giocato ad armi pari con Justine sulla terra, allora un giorno avrei potuto vincere questo torneo». Nel 2011 Maria ritornò (quasi) la vera Sharapova: una semifinale ai French Open dove si arrese a Li Na, una finale a Wimbledon sorpresa da Petra Kvitova oltre alle vittorie a Roma e Cincinnati. Nel 2012 la crescita dell’allora pupilla di Thomas Högstedt proseguì con un’altra finale, malamente persa a Melbourne contro Victoria Azarenka finché, il filotto Roma-Stoccarda-Roland Garros le ha riaperto i cancelli dell’Olimpo.

Accadde dell’altro. Se Serena Williams continuò a dimostrarsi la Nemesi della Divina; fermandola in finale ai Giochi Olimpici di Londra 2012, del Master 2012 e del Roland Garros 2013, nonostante il bis a Stoccarda e Indian Wells, a settembre 2012 Maria si è dovuta accontentare della semifinale all’US Open e il gennaio seguente di un altro penultimo atto a Melbourne. L’ennesimo giro di boa è avvenuto dopo la finale persa a Parigi contro Serena Williams. Quando a fine agosto 2013 la spalla della russa ha fatto nuovamente crack molti hanno calano senza troppi indugi la puntina del giradischi sul Requiem. Sensazioni negative che si sono protratte fino ad aprile quando, ormai ad un passo dall’uscire dalla top ten, la russa ha interrotto un digiuno lungo un anno imponendosi prima a Stoccarda poi a Madrid.

A Parigi Maria Sharapova si è presentata come testa di serie n.8 e a privarla di un potenziale quarto di finale contro Serena Williams – scongiurando così il 19esimo head to head con tanto di bilancio favorevole alla yankee di 16-2 – è stata la spagnola Garbine Muguruza. Andando per ordine, sul cammino verso il quinto Slam, la russa ha sconfitto la connazionale Ksenia Pervak 6-1 6-2, la bulgara Tsvetana Pironkova 7-5 6-2, l’argentina Paula Ormaechea con un doppio 6-0  per quindi dare inizio a una serie di duelli che l’hanno costretta a rimontare agli ottavi l’australiana Samantha Stosur (3-6 6-4 6-0), ai quarti l’iberica Garbine Muguruza (1-6 7-5 6-1) e in semifinale la canadese Eugenie Bouchard (4-6 7-5 6-2).

Opposta in finale alla n.4 del mondo Simona Halep, più della novellina rumena, un pizzico di emozione sembra averla pagata la russa che, perso il servizio in apertura si è trovata sotto 0-2. L’ingresso in campo di Maria ha determinato cinque games di fila e, per quanto la romena abbia attuato una parziale rimonta fino al 4-5, la russa si intascata la prima frazione per 6-4. Il mood si è rafforzato in avvio di ripresa, con Masha pronta a scattare sul 2-0. Lì però, ha mancato di  lucidità: non sono stati tanto gli errori della siberiana a rimettere in partita la sua antagonista bensì l’incomprensibile decisione di accettare lo scambio. Sembra un paradosso ma, nella parte centrale della seconda manche a produrre maggiore potenza è stata proprio la ventiduenne di Costanza. A subire era Maria Sharapova, ritrovatasi brekkata prima sul 4-4, poi sul 5-5 e rimasta a galla, grazie a quell’audacia che sempre ha scandito le fasi chiave della sua carriera. Coraggio che però ha abbandonato la russa tante, troppe volte, durante la disputa: a partire dal 5-3 nel tie-break, dove ha incassato quattro punti consecutivi che le sono costati il parziale, e proseguendo nella tornata decisiva dove a nulla le sono valsi un primo break ottimizzato al primo game, ma perso dopo il cambio campo, e un altro siglato al quinto, ma riceduto all’ottavo. Sul 4-4 però, Maria ha indossato l’abito da Sharapova e, strappato rabbiosamente il servizio alla Halep, ha preso il volo verso il trionfo.

Dati alla mano, Maria Sharapova ha finora riposto in bacheca 32 tornei, tra cui 5 prove del Grande Slam consistenti in Wimbledon 2004, US Open 2006, Australian Open 2008, French Open 2012 e 2014 oltre ad un Master nel 2004. Di ultimi atti andati in fumo, la russa ne ha invece disputati altri 22 tra cui 4 prove del Grande Slam: Australian Open 2007 e 2012, Wimbledon 2011 e Roland Garros 2013; e 2 Master nel 2007 e nel 2012. Le semifinali Slam sono invece state 9. Al di là dall’adorare o dal disprezzare Maria Sharapova, perché va detto, la russa tutto provoca tranne che indifferenza, o la si ama o la si odia, va riconosciuto che i suoi sono numeri notevoli. A prescindere dell’indiscusso talento – altro luogo comune che va sfatato è che la Sharapova “non ha braccio” dato che non si diventa campioni senza possedere una serie di doti eccezionali – la siberiana ha potuto far leva su qualità caratteriali fuori quotazione. Grinta, determinazione, capacità di chiedere e ottenere il meglio dal proprio tennis nei momenti cruciali dei match.

Entrando nello specifico di questa edizione del Roland Garros, la Maria Sharapova di Parigi era ben lontana dalla sua forma migliore e, anche sotto il profilo atletico, è spesso apparsa lenta, persino in affanno. Eppure ce l’ha fatta. Non solo. La Sharapova si è auto-incoronata regina di Francia senza poter contare sulla freddezza che tanto le è cara. Attimi di sbandamento, momenti di confusione che l’hanno frenata durante svariate fasi del torneo. Eppure Maria ne è sempre uscita. Una volta accantonati i timori, il coraggio della Sharapova ha respinto tutto e tutti. Un coraggio pronto a riemergere quando si approssimavano situazioni delicate. Un coraggio non tanto figlio della decisione quanto della disperazione.

Spesso è stato rimproverato alla russa di essere incapace di attingere ad un piano B. Eppure si celerà pure da qualche parte quel qualcosa che nei “momenti bui” ha impedito che il baratro inghiottisse Maria Sharapova. La risposta è forse la più semplice e crudele: il piano B è lei, è essere Maria Sharapova. Cattiveria agonistica allo stato puro ingigantita dalla determinazione, dalla volontà di dedicarsi con perseveranza all’arte della ripetizione. E vien da se’ che all’improvviso Maria si “toglie dal corpo” una palla che sembra un 15 perso o arriva quell’allungo in cui il polso, la mente e quel cuore cattivodiventano una cosa sola. E le nebbie si dissolvono insieme ai guai, Maria Sharapova si rimette in partita, oppure ammazza la partita.

Una Maria Sharapova che, va detto, va ammesso, sin dagli inizi della carriera può anche contare su una componente indispensabile, che prende per mano, chi più chi meno, tutti i campioni: la fortuna. Nastri che si impennano e ricadono nella metà campo nemica. Righe pronte a lasciarsi sfregiare, in pieno o solo di striscio poco importa, indicativo è che si concedono a Maria. Le stesse righe che spesso tradiscono, si negano alla avversarie per porzioni altrettanto infinitesimali.

Ci sono poi i piccoli episodi di sudditanza. Il tempo che l’arbitro le lascia impiegare tra una prima e una seconda di servizio. L’orologio che, quando c’è lei di mezzo, si ferma, la attende. Il pubblico ogni tanto rumoreggia, piove qualche fischio, ma tempo che il 15 finisca e lei può riprendere indisturbata la sua routine. Pure il cielo parteggia per Maria. Se l’afa la costringe al ghiaccio, il cielo si copra di qualche nuvola. Non c’è niente di male nell’avere un po’ di fortuna. Forse non c’è niente di male nemmeno nell’urlare un numero imprecisato di come on. Fossero pure su un errore dell’avversaria, tanto per citare uno dei difettucci che la rendono indigesta ai più – ma la TV  è spietata e l’obiettivo impietoso perché si focalizza sui dettagli mentre la sequenza errore-urlaccio andrebbe considerato nella sua globalità.

Se sei disposti ad accettare le debolezze di una persona tanto forte, di una ventisettenne che è stata ricoperta d’oro sin da quando di anni ne aveva appena diciassette, eppure è ancora qui, di una personalità probabilmente complessa al pari di quanto è monocorde il suo tennis, se si è disposti ad ammettere e a comprendere tutto questo non si può non capire come la lezione che insegna Maria Sharapova sia quella di saper voltare pagina, di non arrendersi mai. Anche per questo merita di essere fortunata. Chissà. Forse se ognuno di noi affrontasse la vita così come Maria Sharapova affronta il tennis, con la stessa professionalità, con la stessa determinazione, con la stessa convinzione, forse ognuno di noi, nel nostro piccolo o grande che sia, riuscirebbe a cogliere qualcosa di apprezzabile. E probabilmente la fortuna sorriderebbe pure a noi.

TENNIS - INTERNATIONAUX DE FRANCE - ROLAND GARROS 2014 - PARIS (FRA) - REMISE DU TROPHEE SUZANNE LENGLEN A SHARAPOVA MARIA PAR EVERT CHRIS ET EN PRESENCE DE GACHASSIN JEAN. PHOTO : CORINNE DUBREUIL / FFT
PHOTO : CORINNE DUBREUIL / FFT