Laura Antonelli, la bellezza perduta

Non fu un periodo semplice, gli anni ’70. Furono anni di lotte politiche, di tensioni generazionali, di trasgressione, di grandi aspettative. Furono gli anni delle stragi, dell’omicidio di Aldo Moro. Furono gli ”anni di piombo”, in cui comparve per la prima volta in un volantino il simbolo delle Brigate Rosse. Nell’arco del decennio morirono due papi: Paolo VI dopo quindici anni di pontificato e Giovanni Paolo I dopo appena 33 giorni. Sono gli anni del Piper e della “sua ragazza”, degli ultimi play boy, di Mina, di Battisti e De Andrè. Gli anni in cui vennero approvate le leggi sul divorzio e sull’aborto, in cui il Cagliari di Gigi Riva vinse lo scudetto, in cui la Ferrari portò in trionfo Niki Lauda, in cui a Monza volarono via Rindt e Peterson. In Italia giunsero gli echi del Vietnam, del colpo di stato in Cile, dei “desaparecidos”, del massacro alle Olimpiadi di Monaco, dello scandalo Watergate, della morte di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison ed Elvis Presley. Eppure si continuò a ballare con gli Abba e i Bee Gees, mentre i Pink Floyd, i Queen e David Bowie scrivevano una nuova storia. Nemmeno il cinema rimase a guardare: mentre oltreoceano furono consacrati Coppola e Scorsese, sua maestà Ingmar diresse l’ultima Sinfonia d’autunno di Ingrid Bergman e una mattina di primavera si spense Luchino Visconti. Ne successero di cose nel mondo della celluloide, anche in Italia, e tra le tante venne eletta icona sexy del cinema italiano Laura Antonelli.

Laura Antonelli è nata il 28 novembre del 1941 a Pola, capoluogo dell’Istria, ma all’epoca territorio italiano; dove già avevano visto la luce le splendide Alida Valli e Sylvia Koscina. La sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale – a cui conseguì la perdita dell’Istria – spinse la famiglia a trasferirsi a Napoli; dove Laura si sarebbe diplomata presso l’Istituto Superiore Pareggiato di Educazione Fisica. Se a vent’anni si trasferì a Roma fu solo per un posto di insegnante di educazione fisica al Liceo Artistico di via di Ripetta. Laura Antonelli non nutriva grosse aspettative per il futuro, era stata cresciuta in modo semplice, spartano; addirittura da adolescente i genitori erano soliti riprenderla per la camminata un po’ goffa, per questo motivo, cresciuta, si riteneva una persona insignificante. A Roma però si respirava cinema in ogni angolo e tramite una serie di amicizie si presentò ad una serie di provini per spot e venne così scritturata per girare alcuni Caroselli della Coca Cola; nonché a posare in numerosi fotoromanzi diffusi pure in Francia.

Laura Antonelli durante una scena del film che l’ha eletta sex symbol italiano degli anni ’70: “Malizia”

Esordì nel cinema con piccoli ruoli, a cominciare dal 1964 in “Il magnifico cornuto” per la regia di Antonio Pietrangeli – dove già ebbe modo di vedere sul set Claudia Cardinale, Gian Maria Volonté e Ugo Tognazzi -; seguito dal sentimentale “Le sedicenni” di Luigi Petrini; dal comico-fantascientifico “Le spie vengono dal semifreddo” di Mario Bava – in cui vide la sua prima star Hollywoodiana, ossia Vincent Price -; dalla commedia diretta da Alberto Sordi “Scusi, lei è favorevole o contrario?” dove Laura si destreggiò con attrici quali Silvana Mangano e Bibi Anderson; dall’interessante “La rivoluzione sessuale” di Riccardo Ghione; e dai polizieschi “L’arcangelo” di Giorgio Capitani con Vittorio Gassman e “Un detective” con Francoo nero e Adolfo Celi.

La prima parte di rilievo le venne offerta nel 1969 da Massimiliano Dallamano che la selezionò come protagonista di “Venere in pelliccia, film ispirato al romanzo di Leopold von Sacher-Masoch. Uscito in Germania Ovest nel 1969 con il titolo “Venuz im pelz”, in Italia la pellicola non passò il visto censura a causa delle scene di sesso ritenute troppo scabrose. Al che, spogliato delle scene più spinte, il film venne ripresentato all’alba degli anni ‘70 con il titolo “Venere nuda” ma anche questa versione tagliata venne bloccata e l’opera non venne distribuita nei cinema. Con il senno di poi, le sale cinematografiche italiane lo proiettarono in forma pesantemente censurata e rimaneggiata solamente nel 1975 con il titolo “Le malizie di Venere; titolo ideato per sfruttare l’ondata di notorietà che aveva colto Laura dopo il successo di “Malizia”. In quegli anni, però, si era già aperto un nuovo capitolo della vita di Laura Antonelli.

Laura Antonelli e Jean Paul Belmondo. I due vissero una tormentata storia d’amore lunga otto anni

Per arrivare al successo, l’attrice istriana passò attraverso una particina nel western “Sledge”; venne diretta da Giorgio Albertazzi in “Gradiva”, prese parte al drammatico “Incontro d’amore” fino a raggiungere la Francia per recitare prima accanto a Jean-Louis Trintignant e Dominique Sandy nel thriller “Senza movente”, poi insieme a Jean-Paul Belmondo in Gli sposi dell’anno secondo”. Correva l’anno 1971 e a livello sentimentale Laura si era lasciata alle spalle un matrimonio fallito con l’antiquario Enrico Piacentini e una relazione con l’umorista Mario Marenco. L’incontro con Jean Paul Belmondo innescò un colpo di fulmine destinato a portarle in dono un’intensa storia d’amore lunga otto anni.

La svolta avvenne nel 1972 in “Il merlo maschio” dove interpreta la moglie di un violoncellista in crisi che attinge a nuovi stimoli iniziando a fotografare la consorte in pose sempre più audaci insieme allo strumento fino ad esibirla, seminuda, davanti al pubblico dell’Arena di Verona in occasione della rappresentazione dell’Aida. Fu anche il primo film a fianco di Lando Buzzanca; con cui già nel 1973 i due attori divisero il set in “Nonostante le apparenze… e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne” di Lucio Fulci.

Nel 1973 scoccò l’ora di Maliziadi Salvatore Samperi; dove Laura Antonelli veste i panni di Angela La Barbera, una sensuale domestica assunta dalla defunta moglie di un commerciante di tessuti che fa perdere la testa sia all’uomo che ai figli di diciotto e quattordici anni. Campione di incassi al botteghino con ben 6 miliardi di vecchie lire, “Malizia” divenne un cult movie e Laura Antonelli entrò nell’immaginario erotico degli italiani. Inoltre; per la sua conturbante interpretazione Laura ottenne il Nastro d’Argento come migliore attrice e il Globo d’oro come migliore attrice rivelazione. Non solo, le si spalancarono le porte della notorietà e della ricchezza con un cachet che passò da 4 a 100 milioni di lire per film.

Laura Antonelli in una scena del film “Il merlo maschio”

Da questo momento Laura Antonelli alterna interpretazioni in film d’autore come “Trappola per un lupo di Claude Chabrol, dove ritrova Belmondo e Mia Farrow in un dramma che cerca di sviscerare il tema della virilità e dell’importanza ad essa attribuita nella società borghese; “Sessomatto” film a episodi di Dino Risi; “Simona“ opera del regista belga Patrick Longchamps  tratta dal romanzo “Storia dell’occhio” di Georges Bataille e “Mio Dio come sono caduta in basso” di Luigi Comencini – per il quale vinse un secondo Globo d’oro -; a pellicole interamente scritte intorno alla sua seducente figura come “Peccato veniale” in cui seduce il fratello del marito e con Salvatore Samperi dietro alla macchina da presa; o Divina Creatura” di Giuseppe Patroni Griffi con Marcello Mastroianni; nel quale la Antonelli interpretò una scena di nudo integrale della durata di ben sette minuti.

Dalla seconda metà degli anni ’70 la Antonelli venne accolta alla corte di registi disposti ad enfatizzare il suo talento, spesso rimasto in secondo piano per via della bellezza: da Luchino Visconti che la volle per affiancare Giancarlo Giannini in “L’innocente” a Mauro Bolognini che le ritagliò un posto accanto a Shelly Winters e Max Von Sydow in “Gran Bollito”. Dopo aver diviso il set anche con Marcello Mastroianni in “Mogliamante”; in parte per via dell’amarezza a causa della fine della relazione con Belmondo; la Antonelli si prese due anni di pausa, per quindi tonare sulla cresta dell’onda prima con “Letti selvaggi” di Luigi Zampa in cui si immedesima in una donna in carriera che affascina un orchestrale incontrato per caso; poi in “Il malato immaginario” vicino ad Alberto Sordi, dove interpreta Tonietta per la regia di Tonino Cervi che da lì a una manciata d’anni la fece duettare con Vittorio Gassman in “Il Turno”; ispirato al romanzo omonimo di Luigi Pirandello. Dopo l’interlocutorio “Mi faccio la barca” di Sergio Corbucci; il maestro Ettore Scola la valorizzò in “Passione d’amore” per il quale ricevette una candidatura al David di Donatello come miglior attrice non protagonista.

Laura Antonelli e Marcello Mastroianni divisero il set in “Divina Creatura” e “Mogliamante”

Rafforzato il sodalizio con Saperi in “Casta e pura”, dove interpreta una donna tutta casa e chiesa che vive nel rispetto di un voto di castità per poi dare una svolta alla propria vita; nel 1982 Laura Antonelli alleggerì i toni, affidandosi prima a Carlo Vanzina in “Viuuulentemente mia” poi da Pasquale Festa Campanile in “Porca vacca”. La frequentazione di Dino Risi la spinse nuovamente presto tra le braccia del cinema d’autore in uno degli episodi di “Sesso e volentieri”. Molto apprezzata in Francia, nel 1985 la Antonelli vi sarebbe tornata per girare “Tranches de vie” – basato sull’omonima striscia a fumetti di Gérard Lauzier -; ma saranno ancora due film erotici – il torbido “La gabbia” di Giuseppe Patroni Griffi ed il decadente “La venexiana” di Marco Bolognini – a mantenere inalterata la sua immagine di donna dal fascino abbagliante.

A quarantacinque anni, Laura Antonelli era ancora splendida. Chiuse la decade con tre film di basso profilo quali “Grandi magazzini”, “Rimini, Rimini” e “Roba da ricchi” e si concesse al piccolo schermo con due miniserie televisive che riscossero un buon gradimento: “Gli indifferenti” e “Disperatamente Giulia“, dirette l’uno da Mario Bolognini e l’altro Enrico Maria Salerno. Nel 1990 Tonino Cervi le avrebbe cucito addosso il ruolo di Frosina in “L’avaro” – con Alberto Sordi a completare il terzetto già sperimentato in “Il malato immaginario” -. Per quanto accolto non troppo positivamente dalle critica, nessuno poteva immaginare che la parabola di Laura Antonelli stava per esaurirsi.

Quando il produttore Ottavio Jemma e Samperi tentarono una già alla partenza fallimentare “operazione nostalgia” mettendo in piedi il sequel di “Malizia 2mila”; costrinsero Laura Antonelli a sottoporsi alle cure di un chirurgo estetico, il quale le praticò delle iniezioni di collagene al viso, per nascondere alcuni inestetismi tipici dell’età. Il risultato sarà invece quello di deturparle i lineamenti. Il colpo di grazia avvenne nella notte del 27 aprile del 1991, quando nella sua lussuosa villa “Trovarsi” di Cerveteri vennero trovati 36 grammi di cocaina. Arrestata dai carabinieri della stazione locale, venne portata alla casa circondariale di Rebibbia, dove rimase sei giorni, fino alla concessione degli arresti domiciliari. Condannata in primo grado a tre anni e sei mesi di carcere per spaccio di stupefacenti, ormai succube della depressione, Laura Antonelli assistette impotente al massacro da parte della critica di “Malizia 2mila”. La carriera di Laura Antonelli finisce lì.

Nove anni dopo, per quanto assolta dalla corte d’appello di Roma che la riconosce consumatrice abituale di stupefacenti, ma non spacciatrice; le ripercussioni del processo per droga e la sentenza paradossale che le negò qualsiasi rimborso per le alterazioni dermatologiche subite – in quanto venne ritenuta responsabile non il trattamento ma una reazione allergica -, avevano fatto scivolare Laura Antonelli in una condizione di profonda sofferenza psichica. Abbandonata dall’industria cinematografica, l’attrice fu sottoposta a ricoveri cadenzati presso il centro d’igiene mentale di Civitavecchia, al punto che i suoi legali citarono in giudizio il Ministero di Grazia e Giustizia per chiedere un adeguato risarcimento. Nel 2003, a Laura Antonelli viene riconosciuto in primo grado una “liquidazione” di 10.000 euro, che dopo l’appello sarebbero diventati 108.000 più gli interessi.

Infine, ci si mise la povertà; condizione in cui non fu la droga a farla sprofondare, bensì la sua generosità. Nel 2009 per iniziativa del comune di Ladispoli, con l’obiettivo di tutelarla dagli approfittatori, venne interdetta e seguita da un avvocato con le funzioni di tutore, da un’assistente sociale e da una badante. Il 3 giugno 2010, l’attore ed amico Lino Banfi lanciò un appello dalle pagine del Corriere della Sera all’allora presidente del consiglio Silvio Berluscuni, in cui chiedeva sostegno economico per l’Antonelli la quale viveva con appena 500 euro al mese di pensione. Sebbene il Ministero per i Beni e le Attività Culturali accolse la richiesta, l’attrice rifiutò l’aiuto. Disse che preferiva essere dimenticata. Lo ripeteva spesso. Tempo due anni e Simone Cristicchi presentò a Sanremo una canzone a lei dedicata, “Laura”. Abituata a essere guardata, scrutata, valutata con gli occhi, anziché con il cuore, ne fu commossa, ma ormai, «la creatura più divina dilaniata dal successo» si sentiva inadeguata a tutto e declinò l’invito di recarsi nella città dei fiori. In fondo, «per la sua lapidazione bastò un sasso».

Nemmeno l’affetto sincero dei pochi amici che le erano rimasti accanto riuscirono a distoglierla dal male profondo in cui stava annegando. Laura Antonelli, la donna che era emersa dalla confusione, dalle speranze, dagli incubi degli anni ‘70, il sex symbol che aveva fatto sognare gli italiani, che aveva fatto perdere il sonno agli italiani, che aveva proposto un modello di sensualità raffinata, mai volgare, capace di suggerire un erotismo che, prima ancora che con il corpo, comunicava con lo sguardo, con la mente, con quella voce da bambina perduta; morì il 22 giugno del 2015, a 73 anni; dopo aver trascorso gli ultimi anni in un appartamento popolare, costantemente sintonizzata su Radio Maria, infossata in un divano avvolto nella penombra, distaccata dalla realtà, più interessata al mondo dei morti, con cui diceva di essere in grado di comunicare, che a quello dei vivi, da cui forse non era mai stata ascoltata, capita fino in fondo.

One comment

  1. Stefano Iacurti

    grazie

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