Agnieszka Radwanska, la tessitrice arcaica

Agnieszka Radwanskala professoressa”. Agnieszka “la tessitrice”. Aga “la maga”. In un circuito ormai irrimediabilmente contrassegnato da un tennis che si limita a far leva sulla potenza esasperatamente monocorde e fine a se’ stessa, rattristato, per non dire offeso da una schiera sempre più folta di giocatrici fotocopia, talmente mono-tematiche da non riuscire a distinguerle l’una dall’altra, figurarsi ad affibbiare loro un appellativo in grado di valorizzarle; la polacca poteva contare su diversi nickname. Come una “professoressa”, Agnieszka Radwanska disegnava con autorità geometrie soffuse, tese alla ricerca di angoli velenosi, di traiettorie destabilizzanti, avvalorate da un acume tattico secondo solo alla leggerezza con cui danza sul campo. Con lo sguardo impenetrabile, paziente, pignolo di una “tessitrice”; Agnieszka imbastiva la sua tela sulle note di una nenia arcana, che finiva con l’avvolgere le ignare avversarie, fino a soffocarle. Finché Abracadabra non di rado Aga si improvvisava “maga”; ed eccola che dava vita a quel colpo che non ti aspettavi, a quella soluzione che rimetteva in discussione tutto, a quel tocco che confondeva, stravolgeva, incantava. Tutto ciò non lo rivedremo più.

Agnieszka Roma Radwanska  è nata a Cracovia il 6 marzo del 1989.  Un anno e nove mesi dopo, non in Polonia bensì ad Ahaus, in Germania, nascerà la sua sorellina minore, Urszula. È quasi inevitabile pensare che, mentre negli Stati Uniti Richard Williams profetizza come le sue figlie diventeranno le prime due giocatrici del mondo, in una Polonia ormai “disgelata” Robert Radwanski decida di azzardare una risposta europea a Venus e Serena. Fatto sta che Agnieszka ha quattro anni quando il padre le mette in mano per la prima volta una racchetta ed appena sedicenne è già pronta per vincere Wimbledon Juniores e a compiere il grande salto tra i pro. La prima svolta avviene nel maggio dell’anno dopo, al torneo di Varsavia, quando la campionessa del Roland Garros 2004, Anastasia Myskina, si ritrova dall’altra parte della rete proprio Agnieszka Radwanska posizionata a n.309 del ranking. La russa scende in campo senza quel mordente che la contraddistingue, quasi la amareggiasse l’idea di battere troppo nettamente quella polacca dal physique du role di una danzatrice sul ghiaccio. La Myskina perde la prima frazione 6-4 e, pur rimediando nel secondo set, nel terzo non riesce a distaccarsi, a scrollarsi di dosso quella lima sorda che raschia e taglia senza far rumore, ma che alla fine agguanta la vittoria. Battuta pure la ceca Koukalova, allora n.32 del mondo, Aga, si fermerà ai quarti di finale, contro una particolarmente accorta Elena Dementiva; che la definirà una “giocatrice fuori dal tempo”. 

Silenziosa, Agnieszka si intasca i complimenti, per poi stringere in pugno qualcosa di più concreto: prima il Roland Garros Juniores, dove batte in finale Anastasia Pavlyuchenkova, poi una wild card a Wimbleodn; che onora superando la coetanea Victoria Azarenka, la bulgara Tsvetana Pironkova e la thailandese Tamarine Tanasugarn prima di cedere nettamente a Kim Clijsters. L’aver superato le qualificazioni all’US Open, per poi inchinarsi al secondo turno cospetto di Tatiana Golovin, la spingono a presentarsi agguerritissima in Lussemburgo dove, dopo aver mandatofuori pallaVenus Williams ed aver fatto scappare la pazienza a Elena Dementieva; agguanta la sua prima semifinale WTA in carriera. Chiusa la stagione come n.57 del mondo, Agnieszka Radwanska prosegue la sua salita e, dopo aver ottenuto lo scalpo della rientrante Martina Hingis a Miami, ripiega sul 100.000$ di Biella, che vince regolando nell’ordine Errani, Pennetta e Knapp. Ad agosto arriva anche il primo titolo WTA. Sul cemento di Stoccolma, macina Wozniacki, Pironkova e Dushevina, chiudendo il torneo senza mai perdere un set e seminando per strada un totale di 20 games in 5 incontri. 

Il “botto” definitivo avviene però all’US Open quando al terzo turno elimina la campionessa in carica, Maria Sharapova con il punteggio di 6-4 1-6 6-2. Al che, diviene inevitabile interrogarsi sul reale valore di quella diciottenne esile, posata, che a primo impatto sembra basare il proprio tennis su palle inconsistenti, prive di peso, mentre dopo un’analisi più accurata si realizza che in quella polacca c’è qualcosa di arcaico ed estemporaneo insieme, quasi che il reticolato da lei tessuto meticolosamente attingesse da linearità  passate, fosse un eco rimasto di Chris Evert che ancora balugina nell’aria, mentre allo stesso tempo in quelle  carezze si sprigiona, senza una logica apparente, quelle note di improvvisazione che la rendono unica, non paragonabile, Agnieszka Radwanska.

Entrata tra le top 30, all’Australian Open 2008 la polacca sorprende al terzo turno la seconda favorita di Melbourne Svetlana Kuznetsova e agli ottavi si impone 6-0 al terzo su Nadia Petrova, dopo aver recuperato uno svantaggio di 1-6 0-3, per infine terminare la propria corsa ai quarti, contro Daniela Hantuchova. Dopo aver afferrato il secondo titolo in carriera a Pattaya; a Doha cede in semifinale a Maria Sharapova; la quale inaugura una striscia di vittorie “marchiate Russia” sulla polacca: dalla Kuznetsova che la ferma ai quarti di Indian Wells, ad Anna Chakvetadze che le espone il cartellino rosso a Dubai e a Roma finché, in quel di Istanbul, la Radwanska attorciglia nella sua rete Elena Dementieva e ripone in bacheca il suo terzo torneo. Dopo un terzo turno al Roland Garros, sconfitta da Jelena Jankovic, la diciannovenne di Cracovia procura quindi un altro dolore a Nadia Petrova sull’erba di Eastbourne con somma di titoli giunti al poker. I quarti di finale raggiunti a Wimbledon legittimano ancor di più l’ingresso tra le top 10 per Aga che, pur raggranellando qua e là punti preziosi compresa una finale persa a Pechino contro Svetlana Kuznetsova, dovrà far fronte a un 2009 complicato in quanto in molte sembrano infatti averle preso le misure”.

La flessione è nell’aria ed arriva nel 2010. Seppur ottenendo qualche buon piazzamento, come la semifinale a Indian Wells e la finale a San Diego, superata rispettivamente da Wozniacki e Kuznetsova; la polacca appare incapace di quei guizzi che l’avevano issata verso i piani alti del ranking. Retrocessa di quattro posizioni, non sembra andarle meglio nel 2011 dove se si escludono i quarti all’Astralian Open, a Dubai e a Miami, battuta dalla futura campionessa Kim Clijsters, dalla solita Kuznetsova e dalla Zvonareva; Aga inciampa spesso e (mal) volentieri. Fino a quando, inaspettatamente, resuscita a San Diego, dove redarguisce in finale Vera Zvonareva, sulla  quale nuovamente furoreggia a Tokyo, e infine adesca Andrea Petkovic ai China Open, salvando così una stagione apparentemente compromessa. 

A inizio 2012 l’impeccabile autocontrollo della Radwanska è messo a dura prova da Victoria Azarenka. La bielorussa la pialla sia ai quarti dello slam aussie, che in semifinale a Sydney e a Doha. Ed è proprio in Qatar che, tra MTO e sceneggiate varie, la nuova n.1 del mondo provoca l’ira della polacca che sbotta: «Vedere la più forte del mondo che si comporta così è un pessimo esempio per il tennis». La Radwanska non fa in tempo a trionfare Dubai che a Indian Wells subisce un’umiliazione da parte della Azarenka che, dopo averle concesso la miseria di due game, replica: “Oggi mi sono comportata da numero uno?”. Agnieszka però non ingaggia alcuna bagarre, semmai si isola sempre un pochino di più, e non solo in campo. Rassicurata dalla costante presenza della sorellina Urszula, coltiva pochi legami nel circuito e, se si escludono le amicizie con Wozniacki e Kerber, le altre giocatrici se interrogate spesso rispondono di “quasi non conoscerla”. 

Agnieszka Radwanska preferisce far parlare il suo tennis felpato, nitido e, dopo essersi imposta a Miami in finale su Maria Sharapova, si prende anche il torneo di Bruxelles. Se ai French Open una Kuznetsova in giornata risulta per lei ingiocabile, a Wimbledon Agnieszka Radwanska è un treno. I successi su Rybarikova, Vesnina, Watson, Giorgi, Kirilenko e Kerber le permettono di disputare, 75 anni dopo la sua concittadina Jedrzejowska, detta Ja-Ja, la finale di Wimbledon. La sacra erba dell’All England Tennis & Croquet Club accoglie così la sfida tra la minore delle portentose american sisters, Serena Williams, e la maggiore delle meno acclamate sorelle venute dalla fredda Polonia, Agnieszka Radwanska. Uno scontro tra “antitesi” che si risolve a favore di Serena Williams. Un esito che nega ad Aga il sogno Slam, ma che la issa a n.2 del mondo.

Con fierezza Agnieszka Radwanska continua a “giocare di fino” senza mai sottrarsi alla lotta, sia essa una battaglia persa al round robin del Master contro la Sharapova per 5-7 7-5 7-5, quanto un’Odissea andata a buon fine, il giorno dopo, contro Sara Errani per 6-7 7-5 6-4, la quale le assicura la semifinale. “Diventare la numero uno anche solo per una settimana avrebbe un grande significato. Ma vincere uno Slam, sarebbe veramente qualcosa di immenso”; sostiene Aga la quale sembra iniziare a “vivere male” l’assenza di Slam nel proprio palmares. Una lacuna che sembrerebbe poter essere colmata all’Australian Open 2013 dove via via Aga si arrampica fino ai quarti, presentandosi forte dei trionfi ad Auckland e Sydney con tanto di 13 vittorie consecutive e nemmeno un set perso. Eppure qui, sbatte contro Li Na. Le semifinali a Doha e Miami precedono quindi una disastrosa stagione su terra rossa, solo apparentemente sanata dai quarti di finale al Roland Garros dove cede di misura a Sara Errani. La delusione maggiore arriva però in semifinale a Wimbledon quando, in un seeding orfano di Williams, Azarenka, Sharapova e Kvitova, la polacca diviene la prima favorita. Due contratture muscolari e una lucidità che paradossalmente la abbandona mentre conduce 4-6 6-2 3-0 sulla Lisicki, le vietano di tagliare un traguardo che pareva a lei destinato. Il 9-7 conseguito dalla Lisicki, inasprisce Aga che in finale a Stanford subisce una devastante rimonta anche da parte della Cibulkova. Il buio sul volto della polacca si addensa ancora di più dopo l’apatica prestazione fornita al terzo turno dell’US Open contro Ekaterina Makarova e, seppure la vittoria al torneo di Seoul sembrano almeno in parte schiarirlo; la Radwanska si presenta al Master letteralmente a pezzi. 

L’ennesimo smacco, rappresentato dallo stop in semifinale all’Australian Open 2014 per mano di Dominika Cibulkova al termine di un’oretta di (non) gioco indefinibile, dopo aver divorato 6-0 al terzo la sua “bestia nera” Vika Azarenka; lascia spazio ad una serie di punti interrogativi, di sinistre dissonanze, di tristi presagi che sembrano voler aborrire per partito preso il nome della polacca tra quelli delle campionesse con uno slam nel palmares. Non solo. A marzo si vede sbarrare la strada da Flavia Pennetta – e da una lieve contrattura – nella finale di Indian Wells, così come non le risollevano il morale il quarto di Miami in cui inciampa nella Cibulkuva e la pessima prestazione al torneo casalingo di Katovice dove si sgonfia contro Alize Cornet. Se la terra rossa è un gioco al massacro in cui si salva giusto la semifinale di Madrid, l’amica erba non le procura alcuna gioia. La stagione conosce una ricrescita alla Roger Cup, dove l’ordine mentale di Agnieszka Radwanska le garantisce il 14esimo sigillo dopo aver sistemato Strykova, Lisicki, Azarenka, Makarova e Venus Williams.

Complesso da Slam? Timori e incertezze che bussano alla porta del cuore e della mente di Aga non appena si ritrova al cospetto di appuntamenti di prim’ordine? Passi falsi che hanno cadenzato il 2014 di Agnieszka, dal torneo di casa a Katowice, alla finale di Indian Wells, passando per i primi turni di Stanford e Eastbourne, per arrivare appunto all’appendice asiatica? O più semplicemente, Agnieszka Radwanska è incapace di fronteggiare più avversarie di spessore nell’arco dello stesso torneo? O anche solo di arginare alcune picchiatrici che mai la eguaglieranno nei risultati espressi, ma se in giornata tanto basta per sovrastarla?

Per i più intransigenti, per quelli che scorgono in un match di tennis dinamiche simili a una partita a scacchi, Agnieszka Radwanska è la “tessitrice”; per coloro che invece attribuiscono al tennis la valenza di una disciplina, quelli per cui classe e concretezza procedono a braccetto, la polacca è la “professoressa”; per chi invece il nobil gioco è arte, un miscuglio di emozioni da cui lasciarsi trasportare, Aga altro non è che la “maga”. Ebbene, la sua tela è forse troppo poco spessa, il suo acume è forse insufficiente, le sue magie sono forse troppo dozzinali per vincere uno Slam? Anche il più incrollabile sostenitore non può essere sfiorato dal dubbio che, ad essere nel giusto, siano coloro che vedono nella polacca nulla più che una “pallettara” dotata di un buon braccio, ma destinata a rimanere “sgradita al Club”.

Tirata la saracinesca sul 2014 con la semifinale del Master, perché inizi a calibrare Aga deve attendere la finale di Eastbourne, dove comunque rimedia uno sconcertante 6-0 al terzo da Belinda Bencic. Ingrato si rivela essere pure Wimbledon, dove viene fermata in semifinale da Garbine Muguruza, sua cecchina pure al penultimo atto di Pechino. Il finale di 2015 rappresenta però una sorta di rinascita per Agnieszka Radwanska che, dopo aver fatto centro tanto nell’amata Tokyo quanto nella modesto evento di Tianijn; il 1 novembre 2015in quella che si rivelerà essere la prima edizione del Master svoltosi a Singaporestringe in pugno la vittoria più prestigiosa della sua carriera. Messi i piedi in seminale grazie a una sola vittoria – su Simona Halep – a fronte di due sconfitte incassate da Pennetta e Sharapova – prima Muguruza, poi Petra Kvitova, resteranno ipnotizzate dalle soluzioni messe in atto dalla maga polacca che, ricaricate le batterie, si è lanciata tra le braccia di un 2016 che le restituito la top 3 facendo leva sulle semifinali all’Australian Open e al Master e sulla vittoria di 3 tornei, tra cui il secondo China Open che ha combaciato con il 20esimo titolo assoluto.

Che Agnieszka Radwanska sia una giocatrice atipica è fuori discussione. Dotata di una mobilità eccezionale, ogni suo colpo custodisce personalismi. La pulizia nei movimenti, l’armonia dei gesti suggerisce avvenenza, gracilità. Lei stessa appare esile, spesso simile a un fuscello in balia del vento. In parte si tratta di una strana “illusione ottica”. Nella realtà dei fatti la polacca tanto minuta non è e spesso la sua palla, ammettiamo pure per forza riflessa, cammina eccome. Uniamo a tutto ciò la profondità che imprime ai suoi colpi, una dose spropositata di acume che le consente di mettere in atto improvvisi capovolgimenti di fronte, e una “manina” in grado di ammansire qualsiasi contesto e, et voilà, Aga diviene una tennista anomala, velenosa, unapiccola predatrice” che con pazienza e maestria dirige nell’ombra gli “umori” di un match.

Il quadro di Agnieszka Radwanska ricamatrice, capace di disegnare un reticolato di raffinate geometrie, una sorta di metaforica tela che finisce con il soffocare le sue avversarie, è forse poesia eccessiva, così come può apparire lezioso volerle vedere in mano “una bacchetta magica al posto della racchetta”. Allo stesso tempo, Agnieszka Radwanska è illusione costante. Uno scrigno segreto, inafferrabile tanto per i detrattori, quanto per gli adulatori. In fondo, come scrisse Voltaire: “Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. Una frase che potrebbe celare in sé un inquietante doppio senso. Ma per quanto gli adulatori possano aborrire una qualsiasi tesi propensa a minare l’indiscusso valore del gioiello polacco, per quanto i detrattori sogghignino compiaciuti al cospetto di ogni suo buco nell’acqua, il “problema” che respinge Agnieszka Radwanska dall’Olimpo anziché affievolirsi, pare destinato a ingigantirsi e il quesito rischia di assumere le dimensioni di un fastidiosissimo tarlo, tristemente destinato a logorare l’anima di Aga.

Lecito era credere, anche solo pensare, che il 2017 potesse finalmente essere l’anno giusto per incidere il proprio nome nell’albo d’oro di uno slam, ma archiviata una finale persa a Sydney, da gennaio a fine giugno avrebbe messo in saccoccia giusto sette match in otto tornei. L’innegabile crisi conosce una tregua a Wimbledon, dove Agnieszka mette i piedi negli ottavi, per quindi proseguire, in un catastrofico tramonto di stagione che la vede precipitare oltre la top 30. Uno scompenso tecnico-tattico che si ingigantisce di torneo in torneo anche nel 2018 tanto che, complici alcuni dolori alla schiena, la polacca decide di depennare i tornei sul rosso nel disperato tentativo di riporre ogni barlume di energia, di speranza, di illusione, sull’erba che sola, pare offrire un minimo di garanzie al suo tennis anacronistico. Ma non avviene nulla di tutto ciò. Le uscite premature a Wimbledon e all’US Open sono seguite dall’ennesimo infortunio. Incapace di sovvertire il cinico “ordine delle cose”, che a livello estetico testimonia più che altro la bassezza di un “mal celato disordine”, il 14 novembre 2018 Aga la professoressa, la tessitrice, la maga getta la spugna. Il capolavoro però resta: quello di aver disegnato, incantato i campi di tutto il mondo, e quell’opera d’arte altri non è che lei, Agnieszka Radwanska.

epa05006022 Agnieszka Radwanska of Poland celebrates with the Billie Jean King Trophy after defeating Petra Kvitova of the Czech Republic in their singles final match at the BNP Paribas WTA Finals 2015 held at the indoor stadium in Singapore, 01 November 2015. EPA/WALLACE WOON