I demoni del giovane Salinger

«Io sono il più fenomenale bugiardo che abbiate mai conosciuto. È spaventoso. Perfino se vado all’edicola a comprare il giornale, e qualcuno mi domanda che cosa faccio, come niente dico che sto andando all’opera». Holden Caulfield ha sedici anni, è alto, magrissimo ed ha alcuni capelli bianchi sul lato destro della testa. Pur essendo un bugiardo patologico, odia gli ipocriti e tenta di respingere l’angoscia che lo attanaglia tramite un cinismo a tratti commuovente. Per quanto si definisca spesso «stupido» la sua prorompente sensibilità, la devastazione che si è insidiata nel suo animo con la morte del fratellino minore, lo rende più maturo dei suoi coetanei. Jerome David Salinger ne fu consapevole sin da subito. Grazie al suo personaggio aveva scoperto sé stesso, quel vuoto a cui non riusciva a dare un nome, quel desiderio di assoluto che rischia di ridursi in niente. Holden Caulfield era il suo alter-ego, divenne la luce in fondo al tunnel, una possibilità di redenzione, un aiuto per esorcizzare i propri demoni.

Jerome David Salinger è nato il 1 gennaio del 1919 a New York. Secondogenito di due figli – la sorella maggiore era stata battezzata Doris -; il padre, Sol Salinger, era un commerciante nato da una famiglia ebraica di origine lituana, mentre sua madre, Miriam Jillich, era una casalinga convertitasi all’ebraismo in occasione delle proprie nozze. Cresciuto in un clima soffocante, Jerome venne a conoscenza delle origini “gentili” della madre solo durante la celebrazione del proprio bar mitzvah; ossia a tredici anni e un giorno, età in cui un bambino diviene responsabile per sé stesso nei confronti della legge ebraica. Dopo aver frequentato le scuole pubbliche nell’Upper West Side di Manhattan decise di staccarsi dalla famiglia iscrivendosi alla “Valley Forge Military Academy and College” a Wayne, in Pennsylvania. I timidi approcci verso la scrittura abbozzati sul giornalino scolastico della “McBurney”, divennero più solidi nel momento in cui prese a scrivere racconti «in piena notte, sotto le coperte, con l’aiuto di una pila elettrica». 

La formazione di Salinger è stata caratterizzata dalla totale mancanza di certezze. Iscrittosi alla New York University, già nella primavera successiva abbandonò i corsi per lavorare come cameriere su di una nave da crociera. Di ritorno, probabilmente, si fece convincere dal padre a entrare in confidenza con l’attività di famiglia e venne mandato presso la filiale di Vienna della società. Lasciò l’Austria il 12 marzo del 1938, appena un mese prima che il paese cadesse sotto il controllo di Hitler. L’autunno seguente frequentò l’Ursinus College di Collegeville per un semestre, per quindi essere ricatturato dal mondo della scrittura bazzicando un corso serale di tecniche narrative presso la Columbia University. Il suo insegnante, tale Whit Burnett, rimase abbagliato dal talento di J. D. Salinger al punto da pubblicarne il racconto di debutto presso la rivista di cui era direttore, lo “Story Magazine”. Nel numero di aprile/maggio del 1940 uscì quindi “The Young Folks”, un breve ritratto di alcuni giovani senza uno scopo nella vita. Sin dall’esordio fu ben chiaro un aspetto: di quello che era stata la sua infanzia, dell’incapacità di farsi comprendere tra le mura domestiche o scolastiche, di quella ferita insanabile e sconosciuta inflittagli dal mondo; Jerome David Salinger non amava parlarne, preferiva scriverne.

In questi anni iniziò una profonda relazione epistolare, prima ancora che sentimentale, con Oona O’Neill – figlia del premio Nobel per la letteratura  Eugene O’Neill -, ma il loro rapporto si incrinò irrimediabilmente quando lei iniziò a frequentare Charlie Chaplin. A distoglierlo dalla delusione, fu la chiamata alle armi nel 1942. Tra le file del “12º reggimento di fanteria” degli Stati Uniti, partecipò ad alcune delle più dure battaglie della seconda guerra mondiale, tra cui lo sbarco a Utah Beach nel D-Day e la battaglia delle Ardenne. Assegnato al servizio di controspionaggio, gli venne poi imposto di interrogare i prigionieri nemici, ma l’esperienza che più lo avrebbe segnato coincise con l’ingresso al campo di concentramento di Dachau tanto da confidare, un giorno, alla figlia, «È impossibile non sentire più l’odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva». 

Le parole di ammirazione di Hemingway, allora corrispondente di guerra a Parigi, non gli donarono sollievo. Dopo la caduta della Germania, Salinger fu infatti ricoverato per alcune settimane in ospedale per curare una “sindrome da reazione allo stress da combattimento”. Ne approfittò per gettare le basi del racconto “For Esmé with Love and Squalor”, una narrazione in prima persona da parte di un soldato rimasto traumatizzato. Pur continuando  a pubblicare racconti su riviste di alto profilo come “Collier’s Weekly” e “Saturday Evening Post”; a fine conflitto, Salinger si offrì per trascorrere sei mesi in Germania per dedicarsi all’attività di de-nazificazione. Fu allora che conobbe Sylvia, una donna tedesca che sposò l’anno successivo negli Stati Uniti ma da cui venne lasciato dopo appena otto mesi. Per riavere sue notizie Salinger avrebbe dovuto attendere quasi trent’anni, ossia quando nel 1972 ricevette una sua lettera; che stracciò e gettò via senza nemmeno aprirla.

La svolta per Salinger è datata 1948. “Bananafish” – poi tradotto “Un giorno ideale per i pescibanana” -,  narra di un soldato tormentato dalla guerra che, dopo aver parlato con una graziosa ragazzina sulla spiaggia, torna in camera, si stende al fianco della moglie addormentata e si spara un colpo in testa. Venne considerato dal “The New Yorker” un racconto di una qualità talmente elevata da far firmare allo scrittore un contratto che concedeva loro il diritto di prelazione su tutti i suoi futuri lavori. Fu carico di intrecci e significati il percorso che promosse Salinger a scrittore di punta del periodico newyorkese. Già nel 1942 il “The New Yorker” aveva accettato di pubblicare un suo racconto dal titolo “Slight Rebellion off Madison”, ma a intralciare la messa in stampa era stata la guerra. Ancora più indicativo è che in quel racconto era presente un personaggio semi-autobiografico, chiamato Holden Caulfield, un banalissimo ramo, un’appendice, dell’impianto principale del testo che ruotava intorno alle vicende della sua famiglia. Negli anni Salinger avrebbe familiarizzato con Holden tanto da rispolverarlo e posarlo a protagonista assoluto del suo primo romanzo, un’opera che lo avrebbe consacrato alla storia: “Il giovane Holden”.

Le atmosfere disperate che avvolgono Holden, la scrittura semplice, diretta, eppure carica di profondità emotiva, l’abilità di Salinger nel trasmettere le sfumature di un ragazzo devastato dalla morte del fratello minore e che, a distanza di tre anni, si ritrova espulso dalla scuola, isolato, incompreso dalla famiglia, sottovalutato dagli insegnanti, svilito dagli amici, incapace di comunicare serenamente con l’altro sesso e schiacciato da quel dramma misterioso che sono la vita e la morte, donarono aIl giovane Holdenlo status di cult. Eppure, nonotante il successo travolgente non lo rese immune dalle critiche. In primo luogo, quando nel 1953 durante un’intervista Salinger confidò che «la mia adolescenza fu molto simile a quella del ragazzo di Holden ed è stato un grande sollievo parlarne alla gente»; in molti iniziarono a ridimensionare lo stile, indubbiamente dissimile allo spessore narrativo dei grandi romanzieri a stelle e strisce. In seguito, molti lettori si scandalizzarono per i toni dissacratori rivolti alla religione, mentre altri ancora ritennero inopportuna la disinvoltura con cui affrontava la sessualità adolescenziale. Il romanzo non passò il visto della censura in alcuni Stati e in diverse scuole invitarono esplicitamente gli studenti ad evitarne la lettura. Il linguaggio in sé venne classificato come volgare: la parola goddamn – ossia maledizione – compare 255 volte; e lo stesso dicesi di svariati fuck – ovvero cazzo-.

J.D. Salinger

Desideroso di distogliere l’attenzione sul suo primo romanzo, nel 1953 Salinger pubblicò una raccolta di sette racconti tratti dal “The New Yorker”; oltre ad altri due che la rivista aveva rifiutato. Il libro prese il titolo di “Nove racconti” e pure in questo caso il successo fu di proporzioni notevolissime. Al che, disturbato dall’attenzione ossessiva da parte dei media, decise di trasferirsi a Cornish, nel New Hampshire. Nel periodo immediato al cambio di residenza, Salinger si mostrò relativamente socievole, in particolare verso gli studenti della “Windsor High School”, che frequentemente invitò a casa sua per ascoltare dischi e discutere di problemi scolastici. Una di questi studenti, Shirley Blaney, convinse Salinger a concederle un’intervista per la pagina dedicata alla scuola del “The Daily Eagle”, il quotidiano locale. Tuttavia, dopo che all’intervista venne riservato uno spazio a giudizio dello scrittore spropositato, senza alcuna spiegazione, interruppe tassativamente ogni contatto con gli studenti. Ormai confinato tra le mura della sua abitazione, accettò di ricevere un solo amico, il giurista Learned Hand. Trovò comunque il modo di approfondire la conoscenza con una studentessa di nome Claire Douglas che, nel giugno del 1955, divenne la sua seconda moglie. In dicembre vide la luce Margaret, mentre nel 1960 nacque il secondo figlio, Matt. Sempre più ombroso e diffidente, impose il proprio isolamento dal mondo anche a Claire costringendola ad abbandonare gli studi a un passo dalla laurea. 

Salinger pubblicò “Franny e Zooey” nel 1961, seguito da lì a poco da “Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione”. Quattro lunghi racconti – due per ogni volume – in cui si sviluppava la saga della famiglia Glass, ovvero dei fratelli Seymour – già protagonista del racconto “Un giorno ideale per i pescibanana” -, Buddy, Walter, Waker, Franny, Zooey e Boo Boo. Da quel giorno, Salinger ha pubblicato soltanto un altro racconto: “Hapworth 16, 1924, uno scritto epistolare, presentato sotto la forma di una lunga lettera scritta dal campo estivo dal piccolo Seymour Glass, di sette anni e uscito sul “The New Yorker” il 19 giugno 1965 e mai più ristampato per volontà di Salinger. Proprio in quel periodo, la situazione di prigionia” da amici e parenti in cui Salinger costringeva la moglie; spinse Claire a separarsi da lui. Era il settembre del 1966 e il divorzio venne ufficializzato nell’ottobre 1967. Nel tempo, la figlia avrebbe rivelato dettagli sul clima infernale in cui vivevano lei, la madre e il fratello. Margaret stessa, era di costituzione cagionevole, ma Salinger, che seguiva i dettami della Chiesa Scientista, si rifiutò di sottoporla a qualsiasi visita medica. Non solo, pare che la madre, prima della rottura, avesse persino progettato di uccidere Margaret per poi suicidarsi. 

Nel 1972, quando aveva cinquantatré anni, Salinger ebbe per un anno una relazione con la diciottenne scrittrice Joyce Maynard; che già pubblicava per la rivista “Seventeen”. Fu la parola scritta a metterli in contatto. Il “The York Times” aveva difatti chiesto alla Maynard di realizzare un articolo per loro che, quando nell’aprile del 1972 venne pubblicato le donò una risonanza che raggiunse pure Salinger, il quale le inviò una lettera mettendola in guardia sui rischi che comporta la fama. Dopo 25 lettere, l’estate successiva, la Maynard andò da Salinger per rimanere in casa con lui per ben dieci mesi. La loro storia finì perché la ragazza voleva dei figli e lui invece sentiva di non poter sopportare di nuovo dei bambini reali. Nella sua vita c’era posto solo per i bambini e gli adolescenti che abitavano nella sua fantasia.

Nell’arco degli anni ’70 Salinger continuò a scrivere con regolarità, sedendosi al suo scrittoio per qualche ora tutte le mattine. Stando alle parole della Maynard, entro il 1972 aveva già completato due nuovi romanzi. Per diverse volte si è vociferato che fosse sul punto di pubblicare qualcosa, salvo cambiare idea all’ultimo momento. Addirittura, nel 1978, la rivista “Newsweek” diffuse la notizia che, mentre partecipava a una festa in onore di un vecchio commilitone, avrebbe detto a un amico di aver completato un libro lungo e romantico ambientato durante la seconda guerra mondiale. Certo è che in una rara intervista concessa nel 1974 al “The New York Time”, Salinger sciolse ogni dubbio riguardo alle sue intenzioni: «Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per mio piacere. Non pubblicare mi dà un meraviglioso senso di pace».

Per quanto si fosse impuntato di sfuggire alla visibilità; Salinger dovette continuare a lottare contro le indesiderate attenzioni che riceveva come personaggio entrato ormai nella cultura popolare. Centinaia di studenti e semplici lettori andarono fino a Cornish solo perché speravano di vederlo di sfuggita. Alcuni scrittori gli inviarono le bozze dei loro manoscritti. Molteplici sono le fotografie scattate senza autorizzazione da reporter disposti a tutto pur di catturare qualche immagine dello scrittore durante una delle sue passeggiate solitarie o mentre usciva da un supermercato. Venuto a conoscenza del fatto che lo scrittore britannico Ian Hamilton aveva intenzione di pubblicare “In Search of J. D. Salinger: A Writing Life”, una biografia che comprendeva alcune lettere che aveva scritto ad altri autori ed amici, Salinger intentò causa per impedire la stampa del libro, che invece uscì nelle librerie nel 1988, seppure con le lettere, anziché in originale, parafrasate. Inevitabilmente, molti dettagli della sua vita privata divennero pubblici. Nel frattempo, terminata una relazione sentimentale con l’attrice televisiva Elaine Joyce, sul tramonto degli anni ’80 sposò Colleen O’Neill, di quarant’anni più giovane dello scrittore.

Con una mossa a sorpresa nel 1997 Salinger concesse ad un piccolo editore, la “Orchises Press”, il permesso di pubblicare “Hapworth 16, 1924”. Nel 1999 riemerse anche il fantasma di Joyce Maynard la quale mise all’asta alcune lettere che Salinger le aveva scritto al solo scopo di pubblicizzare la sua autobiografia: “At Home in the World: A Memoir”. Tempo un anno e pure la figlia Margaret, con l’aiuto della sua seconda moglie Claire, pubblicò “Dream Catcher: A Memoir”. Nel suo libro di rivelazioni, descrisse il terribile dominio che il padre esercitava sulla famiglia e sfatò molti dei miti che ormai circolavano; tra cui il suo supposto interesse per la macrobiotica e l’adesione a quella che oggi viene definita “medicina alternativa”, nonché la passione per le filosofie orientali. In ultimo, nel 2009, attraverso i propri avvocati Salinger chiese il divieto alla pubblicazione di “60 Years Later: Coming Through the Rye” – un volume presentato come seguito del Giovane Holden -, il cui autore usa lo pseudonimo di J. D. California. 

Malato da tempo di un tumore al pancreas, il 27 gennaio del 2010 J. D. Salinger si spense alla veneranda età di 91 anni. Nel tentativo di offrire al mondo una visione di chi fosse Salinger, nel 2013 Shane Salerno diresse “Salinger – Il mistero del giovane Holden”. Il risultato mediocre avrebbe riportato i saggisti al mancato colpo di fulmine con il mondo del cinema a partire dal 1949 quando vendette a Samuel Goldwyn i diritti cinematografici del racconto “Uncle Wiggly in Connecticut”. Speranzoso che ne avrebbero tratto un buon film, la versione cinematografica, completamente discostante dal testo, fu stroncata dalla critica. Dopo questi accadimenti Salinger mise una croce su Hollywood, per arrivar a toccare picchi di paranoia quando nel 1995 il regista iraniano Dariush Mehrjui diresse “Pari”, un libero adattamento non autorizzato di “Franny e Zooey”. Distribuito in Iran – dato che il paese non aveva relazioni ufficiali con gli Stati Uniti -, quando Salinger seppe di una proiezione organizzata presso il Lincoln center, diede mandato ai suoi legali di bloccare tutto. Mehrjui tentò di portare le proprie ragioni, alludendo a una sorta di scambio culturale. Salinger però fu irremovibile al pari di quando, dopo l’uscita di “Il giovane Holden”, gli giunsero numerose offerte per poterne realizzare l’adattamento per il grande schermo. Da Billy Wilder ad Harvey Weinstein, da Steven Spielberg a Jack Nicholson; tutti ebbero in risposta un no senza possibilità di manovra. Voci di corridoio affermano pure che Jerry Lewis tentò per anni di mettere le mani sulla parte di Holden. In tal caso, Salinger non si preoccupò nemmeno di dargli una risposta. 

In fondo, l‘unica persona che avrebbe potuto interpretare Holden Caulfield sarebbe stato J. D. Salinger. E questo perché, forse, in quella dimensione parallela, ma non meno reale, che Salinger aveva creato nella propria mente, in quel percorso aspro, inquieto, sofferto; Salinger e Holden erano la stessa persona. L’uno invecchiando, l’altro rimanendo un adolescente per l’eternità. Eppure mescolandosi, influenzandosi, ferendosi, amandosi. Due fragili ribelli, due eroi anomali, due entità incapaci di varcare quella linea d’ombra che separa l’infanzia dall’età adulta, la speranza dal fallimento, la vita dalla morte. Due disagiati alla ricerca di risposte che non hanno trovato, due vittime di un mondo adulto corrotto, crudele, due innocenti che tendono la mano nel tentativo di afferrare una serenità che non è di questa terra.

Holden Caufield

One comment

  1. giovanni collicelli

    Come sempre, personaggi fuori dal comune, la tua scrittura è semplice e comprensibile, così come deve essere….

Comments are closed.