Füssli, il pittore del diavolo

Era solito definirsi «painter in ordinary to the Devil», il pittore ufficiale del diavolo. Precursore inaccessibile, affascinò i suoi contemporanei, appannando la bellezza neoclassica di paura, di ombre, di un qualcosa di indefinibile, pronto a varcare i confini del reale per farsi spazio in un mondo intermedio dove creature spettrali, demoniache, appaiono in tutta la loro inconsistenza tattile, scavando abissi immani nella mente, suggerendo visioni sinistre, ansiotiche; dando voce a quel tormento universale spesso impossibile da esprimere a parole. Johann Heinrich Füssli fece del disagio, dell’oppressione, i confini entro cui muoversi, caricando di amorfa oscurità i luoghi in cui fissava quelle incarnazioni fuggite dagli incubi, dai deliri, dalle superstizioni, dal cuore dell’umanità.

Johann Heinrich Füssli nasce il 7 febbraio del 1741 a Zurigo da Elisabeth Waser, appartenente all’alta borghesia locale, e Johann Caspar Füssli, un antiquario con la passione dell’arte che tradusse in parole le conversazioni affrontate con il critico neoclassico Joahan Joachim Winckelmann, con cui era legato da una solida amicizia e sulla cui supervisione redasse il primo trattato sulla storia della pittura svizzera – dal titolo “eschichte und Abbildung der besten Maler in der Schweiz” -. Nonostante l’attitudine che sin da bambino Johann Heinrich dimostrò verso qualsiasi forma d’arte tesa ad arricchire l’animo umano, in netto contrasto all’avversione palesemente espressa nei confronti della dogmatica; il padre tentò di piegarne l’indole introducendolo alla carriera ecclesiastica. Fu una manovra riuscita a metà. Pur frequentando, il Collegio Carolino di Zurigo, non solo Füssli si avvicinò all’empirismo dei pensatori inglesi Hobbes e Locke, ma sviluppò un radicale amore per la letteratura tramite la vicinanza di Jakob Bodmer, un amico del padre che lo iniziò agli scritti di Omero, di Dante e di Milton. Di riflesso, basandosi su una preparazione tecnica di natura autodidatta,il giovane Johann iniziò a raffigurare soggetti esplicitamente desunti da quei testi, densi di allegorie, di guerre e di violenza. Assunse poi una netta posizione in opposizione a Conrad Grebel, che giudicò corrotto e non idoneo per amministrare Zurigo, critica che culminò con la pubblicazione di un libello contro il governo della città. Fu proprio in seguito a queste beghe politiche che nel 1762 fu costretto a rifugiarsi in Germania. Füssli soggiornò prima a Berlino presso il matematico Georg Sulzer, poi  a Barth, ospite del pastore protestante Joachim Spading. Apparsogli come uno stato smembrato e in balia delle tirannie di Federico il Grande; tempo due anni e si imbarcò per Londra insieme all’amico Andrew Mitchell, il quale lo introdusse nei più esclusivi circoli artistico-letterari della città e, soprattutto, al banchiere di  re Giorgio III, tale Thomas Coutts, che diventerà un suo protettore.

Fussli Le tre streghe
Johann Heinrich Füssli – Le Tre Streghe

Füssli si imbatté così in una dimensione culturale in pieno fermento, animata da atelier, case editrici e prestigiosi teatri i quali divennero una meta fissa nelle sue serate londinesi. Fu così che strinse amicizia con David Garrick, considerato all’unanimità il più grande attore teatrale del ‘700, basilare nel trasmettergli l’amore per le tragedie di William Shakespeare; trasfiguratesi a loro volta in una costante iconografica della produzione di Füssli. Decisiva fu poi la stima che gli esternò Sir Joshua Reynolfs, sinceramente affascinato dalla sua vocazione per l’arte figurativa e provvidenzialmente insistente nel convincerlo ad intraprendere l’attività pittorica. Sotto l’influsso di Reynolds, che proprio in quegli anni stava gettando le basi per fondare la Royal Academy, Füssli sbocciò e su suggerimento dello stesso nel maggio del 1770, aiutato finanziariamente da Coutts, si recò a Roma. A sedurlo non fu però l’insieme classico rifacente alle teorie di Winckelmann, bensì le opere cariche di drammaticità e di pathos, in particolare modo il ciclo di affreschi della cappella Sistina realizzato da Michelangelo. Füssli rivelò il proprio approccio nei confronti delle antichità classica attraverso un disegno a seppia e sanguigna denominato “La disperazione dell’artista davanti alle rovine, raffigurando un personaggio nudo, seduto su un blocco di pietra, che piange coprendosi il viso con una mano; mentre l’altra è posata su due frammenti storici, ossia la mano e il piede sinistro del Colosso di Costantino, ormai inevitabilmente perduto in quanto sottoposto all’azione distruttrice del tempo. Con questo disegno, Füssli comunica che le opere antiche non suscitano serenità e quiete – come teorizzato da Winckelmann – bensì emozioni potenti e suggestive, tali da provocare nell’artista un inconsolabile senso di inferiorità, di inadeguatezza e di smarrimento. Füssli non mancò comunque di ritrarre anche episodi contemporanei carichi di espressioni sinistre: è il caso di un disegno datato 1772, derivato da una scena alla quale presenziò egli stesso all’ospedale di Santo Spirito in Saxia, dove un “Fuggitivo” – questo è il titolo dell’opera – in fin di vita rifiuta di lasciarsi curare, dandosi alla fuga da alcuni uomini che gli stanno puntando un crocifisso.

Questo suo stile inconfondibile, lo differenziò dai pittori suoi contemporanei, guadagnandosi l’ammirazione di Johann Wolfgang Goethe, come testimonia il passo di una lettera del 25 marzo 1775 indirizzata al filosofo Herder: «Quale ardore e quale corruccio c’è in quest’uomo!». Füssli lasciò l’Italia nel 1779 per rincasare a Zurigo, dove l’anno dopo diede vita, su commissione di un influente connazionale, al “Giuramento dei tre confederati sul Rütli” in riferimento al patto stretto tra i cantoni Uri, Shwitz e Unterwalden per opporsi al dominio degli Asburgo. Sempre nella natia Zurigo, l’artista ebbe licenziose avventure, prima con Magdalena Schweizer-Hess, moglie dell’amico Caspar Schweizer, poi con Anna Landolt von Rech, della quale si innamorò perdutamente. La loro relazione venne ostacolata in modo determinante dal padre di lei, il quale costrinse Füssli a lasciare la città. Tornato a Londra nell’aprile del 1779, l’artista occupò in breve tempo una posizione preminente nella vivace vita culturale e artistica della capitale britannica. 

Fussli Incubo
Johann Heinrich Füssli – Incubo

La gloria, tuttavia, la ottenne nel 1781 con il dipinto “Incubo”; un olio su tela  di cui realizza diverse versioni, con varie tonalità di colore e di luci, ma basandosi sempre su un modello preciso: una giovane fanciulla dal pallore spettrale, addormentata in una stanza in penombra, dalla quale emergono un demone ghignante – che ricorda i gargoyles delle cattedrali gotiche – e una cavalla spettrale. Attraverso quest’opera densa di simbologie, Füssli indaga gli abissi dell’inconscio, ben un secolo prima che Sigmund Freud – che possedeva una riproduzione del dipinto – fondasse la psicoanalisi; anticipando quella dimensione onirica e visionaria che sarà tratto distintivo del surrealismo. Altrettanto inquietante è da ritenersi “Peccato inseguito dalla morte”. Estratto da un episodio del “Paradiso perduto“ di Milton, l’opera è dominata dagli spettri che sembrano fuoriuscire dai meandri più oscuri dell’inconscio, mentre la morte afferra con le sue unghie affilate i seni di una fanciulla che vuole trascinare con sé nel precipizio, approfittando della catena che le impedisce di fuggire. Altrettanto angosciante è “Silenzio”, una sorta di metafora della solitudine espressa tramite una figura abbandonata a sé stessa, seduta in un luogo indefinito, con le gambe incrociate e la testa inclinata sul petto. 

La sua notorietà, già solida, accrebbe ulteriormente quando accettò di illustrare l’edizione francese di “Physiognomische Fragmente di Lavater, pubblicata tra il 1781 e il 1786. Divenuto amico di William Blake, negli anni successivi a “Incubo”; Füssli fu assorbito nell’impresa della Shakespeare Gallery, animata dall’editore John Boydell e da un folto gruppo di artisti che intendevano dare un impulso decisivo alla scuola inglese di pittura storica raffigurando le opere del Bardo dell’Avon. Tra le opere che l’artista realizzò per la galleria del Boydell spiccano “Lady Macbeth afferra i pugnali”, “Lady Macbeth” e “Re Lear caccia Cordelia”. Nel frattempo, pur unendosi in matrimonio con Sophia Rawlins, l’artista coltivò un’intensa relazione con la scrittrice britannica Mary Wollstonecraft, la quale, divorata dalla passione, arrivò persino a proporre una convivenza a tre. L’assenza di figli rese l’esperimento praticabile per breve tempo, almeno finché la moglie non si spazientì e i due amanti si ritrovarono costretti a separarsi. 

Fussli Silenzio
Johann Heinrich Füssli – Solitudine

Eletto membro della Royal Academy, come segno di ringraziamento Füssli eseguì la “La lotta di Thor con il serpente del Midgard” e, stimolato da questo traguardo, decise di contrapporre alla Shakespeare Gallery una propria Milton Gallery, ottenendo l’aiuto finanziario dell’editore Johnson e del banchiere Roscoe. L’artista non lesinò tempo ed energie per valorizzare il proprio progetto eseguendo ben 40 dipinti ispirati alle opere di Milton per quindi presentarli, il 20 maggio 1799, in una mostra nelle sale londinesi di Christie’s; riscuotendo il plauso dei colleghi ma l’indifferenza del pubblico. Nello stesso anno, concorse per avere la cattedra di pittura alla Royal Academy, ottenendola come da prassi il 19 giugno. La sua attività educativa ebbe inizio l’anno seguente, con un ciclo di tre lezioni incentrate sull’arte moderna, sull’arte classica e sull’invenzione. Nel 1805 fu nominato keeper dell’Accademia, con lo scopo di vigilare sul regolare svolgimento delle lezioni, una promozione che gli impose di abbandonare l’insegnamento. Ritornò a ricoprire la cattedra cinque anni dopo e a questi incarichi, si affiancò l’adesione all’Accademia di San Luca a Roma, su nomina di Antonio Canova che ne era il sovrintendente. Nell’ultimo decennio di vita, Füssli esaurì le sue energie creative, per infine spegnersi a Putney Hill, nella villa di campagna della Contessa di Guildford, il 16 aprile del 1825.

Johann Heinrich Füssli possedeva il contegno forzato che sovente delinea le persone di bassa statura e seppure si racconta fosse sobrio nel tenore di vita e pedante nelle abitudini, pare fosse dotato di una vena (auto)ironica capace letteralmente di conquistare chi aveva intorno, principalmente le donne. Disprezzava la natura, la sua crudezza; mentre da umanista quale era venerava le creature terrestri, la loro bellezza, la loro vulnerabilità. La sua mancanza di radici, l’essere stato costretto a intraprendere un percorso che rischiava di violentarne indole, l’incapacità di instaurare relazioni amorose appaganti, lo resero una contorta vittima di sé stesso, delle sue frustrazioni. Schiacciato nei suoi stessi incubi, intrappolato tra quelle visioni che lo agitavano nel sonno e di cui non riusciva a liberarsi durante il giorno, Füssli mostrò al mondo, un altro mondo ancora più tortuoso e inaccettabile. Non era il pittore del diavolo Johann Heinrich Füssli, era il pittore del calvario umano; di quel viaggio muto, agghiacciante, doloroso come gli abissi di un incubo senza fine.

Fussli
Johann Heinrich Füssli