Bobby Fischer, il re solo

Non poteva permettersi di coltivare sogni, l’adolescente Regina Wender. Figlia di esuli polacchi, trapiantati in Svizzera; appena sedicenne, iniziò a lavorare come operaia in una fabbrica bellica perché quella miseria da cui i genitori avevano tentato di fuggire, sembrava far parte del loro patrimonio genetico, un po’ come le origini ebraiche. Tra immani sacrifici riuscì comunque a terminare gli studi da maestra, ad abbandonare la catena di montaggio per un posto da insegnante, per quindi iscriversi a un corso da infermiera e iniziare a correre di corsia in corsia, finché un giorno prese un treno Mosca dove, oltre a laurearsi come medico, avrebbe sposato Gerhardt Fischer, il quale nel 1938 la rese madre di una bambina, Joan. Il rapporto non tardò però a incrinarsi e Regina decise di volare negli Stati Uniti, paese in cui, guarda caso, a Gerhardt venne negato il permesso di immigrazione per le sue sospette simpatie comuniste. Assunta in un ospedale di Chicago, nel 1942 iniziò a frequentare il fisico ungherese Paul Nemenyi, dando vita a una relazione che apparve persino negli atti dell’FBI – che seguiva segretamente la vita privata della coppia perché sospettava che lei potesse essere una spia al servizio dei Sovietici, tanto più da quando al compagno era stato affidato un importante incarico presso il Naval Ordnance Laboratory di White Oak. Il 9 marzo del 1943 Regina diede all luce il suo secondo figlio: Robert James. Non poteva essere figlio del marito, da cui Regina divorzierà nel 1945, eppure sul certificato fu registrato il cognome Fischer”. E fu così, che quel bambino sarebbe passato alla storia, come Bobby Fischer.

Di tutto questo trambusto, il piccolo Bobby è cresciuto sapendo ben poco, trovando negli scacchi un motivo più valido di interesse. Imparò i segreti della scacchiera da solo, tramite un libretto di istruzioni che la madre gli  mise in mano per tenerlo buono durante un trasloco a Brooklyn. La sua prima «vittima» fu la sorella; incapace di fronteggiarlo dopo un paio di settimane. A tredici anni era ritenuto un ragazzino difficile e alla Erasmus Hall High School non riuscì mai ad integrarsi. Trovò al contrario un padre putativo in Jack Collins, un insegnante di scacchi amico della madre che già aveva formato giocatori come William Lombardy e Robert Byrne. Nel luglio del 1956 registrò il suo primo trionfo vincendo il Campionato Juniores statunitense che a quei tempi lo qualificava per il Campionato maggiore. Nello stesso anno fece letteralmente impazzire il Grande Maestro Donald Byrne, tanto che nell’ambiente prese a circolare la voce di un ragazzino dotato di un talento eccezionale con un approccio alla partita al limite dell’ascetismo. Nel 1958 prese parte al Campionato degli Stati Uniti: la presenza di tutti i migliori Maestri americani, tra cui Samuel Reshevsky, non impedirono a un Fischer quindicenne di vincere imbattuto l’evento.

Divenuto Gran Maestro, abbandonò la scuola ed ai Campionati Americani diede per la prima volta prova della sua innata presunzione. Pretese ad esempio che gli abbinamenti fossero sorteggiati pubblicamente, clausola peraltro prevista seppur difficilmente applicata dal regolamento FIDE; ma di fatto un capriccio infantile, visto che il sorteggio pubblico o privato non cambiava alcunché, a meno che qualcuno non avesse in programma qualche scorrettezza. Bobby Fischer fu comunque irremovibile arrivando a lasciare scegliere al comitato organizzatore il suo sostituto, visto che se non fosse stato accontentato si sarebbe ritirato. Durante il torneo volle poi la presenza del suo avvocato sul palco per garantirsi contro ogni irregolarità. Ad ogni modo, vinse il campionato con estrema facilità; del resto nei tornei americani vinse otto volte consecutive, tutte quelle a cui partecipò.

Bobby Fischer si iscrisse per la prima volta alle selezioni per il Campionato del Mondo nel Torneo Internazionale del 1959, giocato in varie città dell’allora Jugoslavia. Sedici anni si dimostrano troppo pochi per arrivare oltre al sesto posto su otto concorrenti. L’anno seguente giocò due tornei in Argentina: a Mar Del Plata, vinse insieme a Boris Spasskij, mentre a Buenos Aires si classificò solo 13esimo. Tempo una manciata d’anni e al Torneo di Stoccolma mise a segno uno straordinario successo, vincendolo con 2,5 punti di vantaggio sul secondo classificato, qualificandosi per il Torneo dei Candidati di Curacao, nel 1962, dove terminò al quarto posto  alle spalle di Pietrosjan, Keres e Geller. Non mancò un’aspra polemica sollevata da Bobby Fischer che accusò i giocatori sovietici di essersi accordati per brevi patte tra di loro. La FIDE gli andò incontro cambiando il regolamento per togliere ai russi qualsiasi possibilità di accordo o macchinazione. Contrariato, Fischer dichiarò che non avrebbe più partecipato a tornei all’estero e pretese un torneo per dimostrare di essere lui il miglior giocatore del mondo. Il silenzio della FIDE spinse lo yankee a disertare il torneo di Amsterdam del 1964 e gli venne rifiutata una la possibilità di partecipare all’Olimpiade di Tel Aviv. 

In quegli anni, Bobby Fischer non perse occasione per rendersi sgradevole. Durante un’intervista rilasciata a Ralph Ginzburg per la rivista “Harper’s Magazine”, il giornalista gli fece notare come la sua collega scacchista, Lisa Lane, lo considerasse «il più forte giocatore vivente» ; al che Fischer replicò: «l’affermazione è corretta, ma Lisa Lane non può valutarlo. Le donne sono deboli, tutte le donne lo sono, e sono stupide se paragonate agli uomini, non dovrebbero giocare a scacchi. Contro un uomo perdono sempre, a qualsiasi donna potrei dare un cavallo di vantaggio e vincere ugualmente».

Di fatto, tra il 1962 e il 1967 Fischer si ritirò quasi totalmente dall’attività competitiva. Le eccezioni furono rappresentante dal Marshall Chess Club, che si tenne al Casablanca Memorial di l’Avana, giocando però via telematica; e dal Torneo di Susa, in Tunisia, dove dopo dieci turni era in testa con ampio margine, ma scoppiò una disputa sulle sue pratiche religiose con gli organizzatori, non si presentò alla partita successiva e fu squalificato. La svolta avvenne a Palma di Maiorca, al Torneo dei Candidati del 1970. Bobby Fischer ottenne una serie di strepitosi risultati mai più eguagliata: sia Mark Tajmanov che Brent Larsen vennero demoliti per 6-0 senza patte. Solo l’ex campione del mondo Tigran Petrosjan riuscì in parte ad arginare la forza dell’americano, ponendo termine alla lunga fila di vittorie, ma ciò nonostante l’americano vinse il match per 6,5 a 2,5. Fu così che Bobby Fischer si guadagnò il diritto di sfidare Boris Spasskij. In palio, c’era ovviamente il titolo mondiale e la stampa lo definì “l’incontro del secolo”. 

Il temperamento volubile di Bobby Fischer, sommato alle molteplici richieste che pose agli organizzatori, resero lecito credere che non si sarebbe presentato. L’ambizione di Fischer, l’ossessione di essere ufficialmente riconosciuto come il migliore scacchista del mondo, furono però superiori al suo irrefrenabile bisogno di innescare scandali e polemiche. Fu così che tra il luglio e il settembre del 1972 l’americano e il russo si affrontarono a Reykjavik, in Islanda. La prima partita aumentò la tensione che circondava l’incontro. Fischer, che non aveva mai sconfitto Spasskij, sembrò avere partita facile con i pezzi neri, quando commise un errore madornale che gli costò il match. A seguito della sconfitta Fischer fece ulteriori richieste agli organizzatori e, non essendo state soddisfatte, si rifiutò di presentarsi, facendo assegnare a Spasskij la vittoria a tavolino. Leggenda vuole che Bobby Fischer fosse in procinto di ripartire per gli Stati Uniti quando ricevette una telefonata di Henry Kissinger, il quale fece leva sul suo patriottismo. Più probabilmente, a convincere Fischer fu l’innalzamento del montepremi da 125.000$ a 250.000$. Storia o mito, Fischer giocò e vinse la terza partita, per ottenere infine una vittoria inequivocabile su Spasskij per 12,5 a 8,5. Divenuto il giocatore con più alto punteggio Elo di sempre – con un punteggio di 2785 fu il primo al mondo ad andare sopra i 2700 -, il trionfo di Bobby Fischer fu considerata una sorta di vittoria propagandistica per gli Stati Uniti durante un periodo di tesissima Guerra Fredda.

Quando tre anni dopo giunse il momento di difendere il titolo contro Anatoli Karpov, Fischer non aveva giocato un match ufficiale dal duello di Reykjavik. Lo statunitense stese delle condizioni vincolanti, molte di esse accolte dalla FIDE che però non accettò quella sulla modalità di decretare il vincitore. Dal 1949 i match del Campionato del Mondo erano composti da un massimo di 24 partite, con vittoria al primo giocatore che otteneva 12,5 punti. In caso di parità sul 12 a 12, il campione in carica manteneva il titolo. Bobby Fischer sostenne che questo sistema incoraggiava il giocatore in testa a pattare le partite e propose un incontro con un numero illimitato di partite, con il primo giocatore che arrivava a dieci vittorie come vincitore, rendendo nulle le patte. In caso di punteggio che arrivava sul 9 pari, il campione – quindi Fischer – avrebbe mantenuto il titolo. Ai fini pratici, significava che Fischer aveva bisogno di vincere nove partite, mentre Karpov ne doveva vincere dieci e ciò venne considerato inaccettabile dalla FIDE. Fischer rinunciò quindi al titolo e Karpov divenne campione per abbandono dell’avversario. A questo punto Fischer scomparve e non giocò a scacchi in pubblico per quasi venti anni. Si rifugiò in una fattoria in Islanda dove visse circondato da gatti, cani, capre e cavalli. D’altronde gli animali furono le uniche creature con cui riuscì a stabilire una connessione emotiva.

A motivare Bobby Fischer di riemergere dall’isolamento fu “la rivincita del XX secolo”. Correva l’anno 1992 e dall’altra parte della scacchiera sedeva, Boris Spasskij. La disputa venne giocata utilizzando un orologio digitale brevettato da Fischer – che aggiungeva una piccola quantità di tempo dopo ogni mossa – e si svolse a Budua, allora Jugoslavia, generando non poche controversie in quanto essa era sottoposta da parte dell’ONU a un duro embargo che comprendeva sanzioni sugli eventi sportivi. Indifferente a questo genere di problematiche, la sola preoccupazione di Fischer fu quella di convincere gli organizzatori a presentare l’incontro come “Il Campionato del Mondo di Scacchi”; ciò nonostante in quel momento Garri Kasparov era il campione riconosciuto dalla FIDE. In una conferenza stampa precedente l’incontro, Fischer sputò su un documento del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che gli proibiva di giocare negli Stati Balcanici a causa delle sanzioni economiche al momento in vigore. Come risposta, venne emesso un mandato di cattura per il suo arresto. La partita contro Spasskij, che tra l’altro Bobby Fischer strinse in pugno facilmente, sarebbe stato l’ultimo incontro ufficiale della sua vita. 

Eclissatosi nuovamente, nel 1999 rilasciò un’intervista telefonica a una radio ungherese. Il campione inizialmente rispose alle domande degli ascoltatori, per poi scivolare in un monologo a tratti incoerente in cui si descriveva come vittima di una cospirazione internazionale giudaica. La stazione di Budapest tagliò il collegamento, ma da lì a poco Bobby Fischer venne invitato in una trasmissione simile tramite una radio delle Filippine. All’alba del nuovo millennio si diffuse la voce che Bobby avesse giocato nell’anonimato delle partite sull’Internet Chees Server esordendo con aperture svantaggiose, ma battendo nonostante ciò dei giocatori molto forti. Intervistato a tal proposito, Fischer smentì comunque questa ipotesi. 

Il 13 luglio 2004 Robert James Fischer venne arrestato all’aeroporto Narita di Tokyo dalle autorità nipponiche per conto degli Stati Uniti d’America, ufficialmente per un passaporto irregolare. In realtà, il Governo Statunitense non gli aveva mai perdonato di aver disputato “La rivincita del XX secolo” nel 1992 nell’ex Jugoslavia, allora sotto embargo ONU. Il 10 agosto 2004 Boris Spasskij scrisse una lettera aperta al Presidente degli Stati Uniti in sostegno del suo collega: «Vorrei chiederle soltanto una cosa: la grazia, la clemenza. Ma se per caso non è possibile, vorrei chiederle questo: la prego, corregga l’errore che ha commesso François Mitterrand nel 1992. Bobby ed io ci siamo macchiati dello stesso crimine. Applichi quindi le sanzioni anche contro di me: mi arresti, mi metta in cella con Bobby Fischer e ci faccia avere una scacchiera». Bobby Fischer venne rilasciato qualche mese dopo quando il Governo islandese gli concesse il passaporto. Si persero nuovamente le sue tracce fino al dicembre 2006 quando su un canale della TV islandese stavano diffondendo una trasmissione sugli scacchi dove due grandi maestri si sfidavano in diretta con cadenza di trenta minuti a testa.  Quando il giocatore con il nero sbagliò una mossa, perdendo, i due rivali analizzarono la posizione per trovare quale fosse la continuazione corretta. Fu allora che giunse una telefonata allo studio; era Bobby Fischer che in diretta spiegò: «vorrei segnalare che la continuazione vincente per il nero è la seguente». Fornì quindi una sequenza di tre mosse spettacolari. Proprio a Reykjavík, laddove nel 1972 aveva colto il suo massimo trionfo scacchistico, Bobby Fischer è morto improvvisamente, il 17 gennaio 2008 in seguito un ricovero per insufficienza renale.

Era antipatico, eppure esasperatamente sincero; era maniacale, ma intimamente convinto di muoversi nei limiti della correttezza; era paranoico  e incapace di instaurare la benché minima empatia nei confronti del prossimo, ma nonostante ciò risultava impossibile non rispettarlo. Paradossalmente, i soli a tradirlo, a denigrarlo, furono proprio gli Stati Uniti che nella loro semplicità non ne compresero la portata. A Bobby Fischer non importò di essere eletto simbolo a stelle e strisce della Guerra Fredda; il suo obiettivo era quello di essere considerato il migliore del mondo, il migliore di tutti i tempi, e i russi rappresentavano semplicemente un ostacolo tra lui e la gloria. Quanto al presunto antisemitismo, era ai fini pratici una  palese dimostrazione di rabbia nei confronti delle origini ebraiche delle madre, colpevole ai suoi occhi di averlo concepito con un uomo che non era suo marito e di averglielo tenuto nascosto sino all’adolescenza. Che fosse affetto o meno dalla Sindrome di Asperger – come ritennero molti suoi biografi -; Bobby Fischer era nella sua essenza un solitario totalmente dedito allo studio degli scacchi, insofferente alle sconfitte, portato a disprezzare qualsiasi regime predisposto a impartire regole che non partissero dal proprio io, amante della bella vita e dei bei vestiti, il cui sogno principale era quello di vivere in una casa a forme di torre. Bobby Fischer non era probabilmente nulla di ciò che il suo mito ha tramandato ed allo stesso tempo era tutto di esso, a patto che si fosse disposti ad andare oltre ad esso, alla crudele verità che regolava la sua essenza; perché allora, come adesso «esiste un solo giocatore imbattibile nel mondo e quello sono io. È bello essere modesti, ma è stupido non dire la verità».

2 comments

  1. clapton58

    Sei una scoperta continua. Bellissimo articolo.

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