Kristen Stewart, la fragilità dei contrasti

«Se fossi un animale vorrei essere un gatto. Si sa come funziona con i gatti, li chiami e loro restano lì a guardarti come se ti stessero dicendo: e tu chi sei? Che vuoi da me? F*** you!».  C’è qualcosa di poeticamente selvaggio in Kristen Stewart. C’è qualcosa che sfugge, che si sradica dall’effimera logica Hollywoodiana, dalle sue ridicole e ancor più paradossali imposizioni, dalla baraccopoli di luoghi comuni, dal teatrino mediatico, dal paesaggio che compone il dipinto di una ragazza alla soglia dei trent’anni ancora incastrata tra le pagine di un copione dozzinale, una saga di vampiri mescolati a lupi, alla quale, ai fini pratici, piaccia oppure no, deve dimostrarsi riconoscente; perché quel Twilight le ha offerto uno status di popolarità planetaria. Eppure al tempo stesso quel successo stratosferico altro non ha fatto che ribadire la mostruosità dell’idolatria fine a sé stessa, innescando una sorta di odio all’incontrario, perché quelle dilatazioni anestetiche degli eventi, quella chiusa prevedibile come una via crucis, quei primi piani registicamente inespressivi; tutto ciò è degenerato al punto da mettere in discussione l’attrice che ha interpretato l’unico personaggio che avesse un senso in quel non senso globale.

Kristen Jaymes Stewart è nata a Los Angeles, il 9 aprile del 1990. La California è una terra di coloni in cui John Steinbeck ha ambientato il profetico “Al Dio sconosciuto”, in cui ha incastrato le venti famiglie di “I pascoli del cielo”, in cui ha posto il mondo pagano, della famiglia Trask in “La Valle dell’Eden”. Contadini e sognatori, estrazioni del bene e del male, simulacri di atavici peccati che si tramandano di padre in figlio. Caso vuole siano i romanzi preferiti di Kristen Stewart. Romanzi che legge, rilegge, sottolinea, apporta nuove sottolineature, su cui si interroga. 

Alla soglia degli anni ’90, suo padre, John Stewart, era un produttore televisivo di discreto successo; mentre la madre Jules Mann, australiana nativa di Noosa Heads, era una correttrice di sceneggiature, palesemente più interessata agli animali che alla carriera. Per questo, John & Julies misero su famiglia nelle colline di Los Angeles, nei dintorni di Calabasas, in un luogo capace di ammortizzare le loro inclinazioni. Partirono con alcuni gatti, a cui si aggiunsero dei cani, poi cavalli, capre, mucche, fino ad arrivare ad adottare una colonia di lupi. Fu così che il cinema, poco a poco, divenne un aspetto non così primario. Prima di Kristen era nato Cameron ma, non paghi di due figli naturali, quei due fenomenali quanto atipici genitori decisero di adottare altri due bimbetti: Taylor e Dana. Scelta tutt’altro che ordinaria, ma d’altronde quando si svolta in Stewart Road non c’è spazio per la banalità. 

Stewart Road

Kristen è cresciuta in un ambiente anticonformista, stimolante, privo di stereotipi, ma soprattutto, a stretto contatto con la natura. Prima ancora dell’istituto A. E. Wright di Calabasas, la sua scuola furono i boschi; con i suoi rumori, i suoi odori, il ciclo che scandisce la trasformazione delle piante, i segnali che regolano le interazioni tra animali. Più incline a stabilire con gli elementi a lei circostanti un’empatia istintiva, priva di filtri; Kristen Stewart ha isolato nella recitazione un compromesso per esprimere quel mondo interiore che, quando aveva a che fare con gli esseri umani, le restava drammaticamente incastrato nella gabbia toracica. 

Una recita scolastica si sarebbe così rivelata la catapulta verso alcuni spot, rincalzati dall’esordio sul piccolo schermo ad appena nove anni per una comparsata in “Il bambino venuto dal mare”, a cui segue l’iniziazione al cinema tramite una particina in “I Flintstones in Viva Rock Vegas”. Il primo ruolo di peso giunge nel 2001 in “La sicurezza degli oggetti”, dove divide il set con Glenn Close, mentre tempo un annetto e riceve la chiamata di David Fincher che le cuce addosso il ruolo della figlia diabetica di Jodie Foster inPanic Room”. Nominata al premio Young Artist Awards; l’ascesa di Kristen Stewart prosegue con il thriller “Oscure presenze a Cold Creek” – dove come genitori ha Dennis Quaid e Sharon Stone – per quindi compiere un altro step fondamentale interpretando una ragazzina violentata da un compagno di classe nel film TV, tratto dal best seller di Laurie Anderson, “Speak – Le parole non dette”. 

Kristen Stewart

Esaltata dalla critica yankee, la  precoce scalata di Kristen Stewart si imbatte però in una serie di pericolosi alti e bassi che ne scandiscono la carriera tra il 2003 e il 2007; in cui galleggia tra commedie senza troppe pretese come “Tre ragazzi e un bottino” o “Disastro a Hollywood” con Robert De Niro; a  drammi non propriamente riusciti quali “The Cake Eaters”, “Undertow e “Gioventù violata”; pellicole sentimentali tipo “Il bacio che aspettavo” con Meg Ryan e “The Yellow Handkerchief“ con William Hurt; fantasy quali “Zathura” o ancora “Jumper – Senza Confini”-;  un horror ingiustamente passato quasi inosservato dal titolo “The Messengers”; nonché il cortometraggio “Cutlass” per la regia della collega Kate Hudson. Sarà però la performance nell’opera diretta da Sean Penn, “Into the wild – Nelle terre selvagge” a farla tornare in auge oltre a convincere Catherine Hardwicke di preferirla a Jennifer Lawrence per vestire i panni di Isabella Swan nella saga di Twilight. 

Il clamoroso successo al box office – $3,346,157,056 incassati in totale per i cinque film -, unito all’isteria collettiva che ha contagiato – ed entro certi limiti contagia ancora – una massa adulante di adolescenti rimasti appesi alla coppia vampiresca Edward & Bella fino a farne un vero e proprio fenomeno di culto – che ai tempi non lasciò indifferenti i rispettivi agenti -; ha rappresentato una svolta determinante nella carriera di Kristen Stewart. Se il fanatismo delle ragazzine si è dimostrato diametralmente proporzionale alla geniale ovvietà dei cinque film estratti dai romanzi concepiti da Stephanie Mayer; escludendo i goliardici MTV Movie Awards, Twilight ha fatto storcere il naso a non pochi addetti ai lavori e quella critica inizialmente così ben disposta nei confronti della giovanissima californiana ha iniziato a prendere le distanze dalle belle parole spese un tempo. Semplicemente, la saga di Twilight ha cambiato, ha stravolto tutto. 

Resa una star senza aver mai desiderato esserlo, Kristen Stewart ha sin da subito specificato: «Non ho mai voluto essere famosa, anzi, essere al centro dell’attenzione mi ha sempre imbarazzata. Recitare mi piace perché è un mezzo per raccontare storie, per essere parte di una storia, ma se c’è una cosa che non sopporto è diventare un prodotto vendibile». Decisa a non rimanere succube di un personaggio, Kristen ha tentato di sfidare il sistema; ma la trappola ormai non prevedeva vie di fuga. A premiarla al botteghino saranno commedie per ragazzi quali “Adventureland” e “American Ultra” – sempre a fianco di Jesse Eisenberg – o l’action-fantasy “Biancaneve e il cacciatore”; mentre sarà tiepida l’accoglienza riservata a “On the road”. Se si escludono il toccante “Still Alice”, dove si immedesima nella figlia di una donna ammalatasi di Alzheimer, e il raffinato “Café Society” dove approda alla corte di Woody Allen; rimangono di nicchia gli indipendenti “Welcome to the Rileys” e “Certain Women”, così come il grande pubblico risponde negativamente a diversi progetti fortemente voluti da Kristen come “The Runaways” film biografico sull’omonima rock-band anni ’70 in cui interpreta la leader del gruppo Joan Jett – talmente ammirata da Kirsten da spingerla ad affiggere una sua fotografia sul caminetto di casa -; “Camp X-Ray” dove indossa l’uniforme di soldatessa assegnata guardia carceraria al campo di prigionia di Guantanamo; “Equals” per cui si cala in un futuro dove è vietato provare sentimenti; “Anesthesia” in cui impersona una studentessa che soffre di depressione e tendenze all’autolesionismo; e “Billy Lynn – Un giorno da eroe” che vanta Ang Lee dietro alla macchina da presa.

A donarle morale sono due opere firmate da Oliver Assayas: “Personal Shopper” e “Sils Maria”, per il quale diventa la prima attrice americana – Kristen ha pure la cittadinanza australiana – a vincere il Premio César come migliore attrice non protagonista. Un’altra dimostrazione d’amore e di stima la Francia gliela riserva quando diventa testimonial di Chanel e il leggendario Karl Lagerfeld la disegna protagonista del cortometraggio “Once and Forever”; dove divide il ruolo di Coco Chanel – proposta in due fasi della vita – con Geraldine Chaplin. Non solo; sempre pronta a mettersi in gioco, Kristen Stewart si avventura in vari videoclip per Marcus Forster, Jenny Lewis, i The Rolling Stones e gli Interpol; per quindi decidere di curare la regia di un video della band Sage + The Saints. Si tratta di un primo piccolo passo di avvicinamento verso una nuova, quanto importantissima fase. 

Kristen Stewart Chanel

Kristen Stewart esce raramente di casa. Una delle sue mete preferite sono i sentieri nei dintorni dell’osservatorio Griffith, dove è solita andare a passeggiare insieme ai suoi cani, Cole, Bernie e Bear. Camminare la rilassa, la aiuta a pensare. Quando ricorda di portare con sé una macchina fotografica si lascia andare in qualche scatto. Avendo la tendenza a non essere mai soddisfatta di sé stessa, quando rivede le immagini finisce per cancellarle quasi tutte. La mancanza di spessore in tutto ciò che presuppone una forma di bellezza, la indispone profondamente. Tra l’altro non sopporta gli abiti troppo sfarzosi, l’esasperata ricerca della femminilità, le unghie lunghe e i tacchi – come testimonia la provocazione sul red carpet di Cannes quando, da componente della giuria, si è platealmente sfilata le scarpe di Chanel; trovata che aveva già messa in atto a Venezia durante la proiezione di “Equals” -. Al contrario, le piace nuotare, ma allo stesso tempo ha paura dell’acqua. Kristen vive di contrasti e per lei è perfettamente coerente soffrire di claustrofobia così come provare un sottile disagio nei luoghi aperti in cui vi è un elemento dominante; ragion per cui non ama le spiagge, in quanto potenzialmente in balia delle onde e del mare stesso. A Los Feliz, il quartiere di Los Angeles in cui vive, frequenta saltuariamente giusto un caffè e un paio di locali; passando quasi inosservata.

La sua discrezione, il suo esasperato bisogno di ombra, rendono poco ingombranti persino i sette tatuaggi che non nasconde, ma nemmeno ostenta: quattro trattini, ovvero l’emblema dei Black Flag, la prima band che le è entrata nel cuore; due frecce puntate in senso contrario; il simbolo dell’infinito; una pedina del domino; la scritta “Swim” in onore del suo primo lavoro da regista; la frase “One More Time With Feeling” perché come dice lei stessa «solo amando, solo provando sentimenti forti, la nostra qualità di vita, il nostro rendimento, noi stesse come persone, possiamo migliorare»; e un frammento di Guernica, l’occhio/lampadina che illumina il devastante scenario realizzato da Picasso e che scosse profondamente Kristen quando, da adolescente, lo vide a Madrid.

Kristen Stewart Cannes

Di sera il bisogno di tranquillità, di introspezione, si fa ancora più forte. Ai ristoranti preferisce mangiare nella propria cucina – è bravissima a preparare la torta di mele -. Preferendo evitare la vita notturna, sono gli amici più stretti a raggiungerla a casa anche se, dopo una manciata di discorsi, quasi non si accorgono che lei si è già defilata in un’altra stanza, magari a suonare la chitarra – se la cava tanto con l’acustica, quanto con l’elettrica, così come suona discretamente la batteria -, o a dipingere – disciplina che le permette di imprimere su una tela qualcosa del proprio io -. La sua serata tipo è guardare un film. Non ha un genere preferito, ma immancabilmente la sua personalità contorta si fa largo: periodicamente rivede infatti due pellicole diametralmente opposte: “Una moglie” di John Cassavetes e “Shining” di Stanley Kubrick. 

Un’altra passione di Kristen sono i documentari, di qualsiasi tipo. Finché una sera rimane turbata, nauseata, da un servizio che mostra l’immondizia depositata nei fondali dell’Oceano. Una sedia, perfettamente posizionata, laggiù, in mezzo alla sporcizia, la colpisce al punto da suggerirle una visione: quella di un maschio che a un certo punto della vita si sente fuori posto, solo, inappagato, e che celebra il proprio isolamento dormendo sul fondo all’Oceano. Sarà questa suggestione a ispirarle “Come Swim”, sua opera prima alla regia; un cortometraggio che ha come protagonista un ragazzo la cui sete implacabile non viene alleviata da nulla, almeno fino al momento in cui accetta che l’unico modo per sopravvivere è arrendersi a qualcosa contro cui non è possibile vincere.

Kristen Stewart Lion

Un’esperienza quella dietro alla macchina da presa che Kristen Stewart desidera visceralmente ripetere al punto da essersi lanciata anima e corpo nella produzione di “The Chronology of Water”. Tratto dall’autobiografia della scrittrice Lidia Yuknavitch, il primo ciak dovrebbe essere battuto in autunno, non appena terminate le riprese di “Happiest Season”, commedia pacioccona tesa a sventolare i diritti Lgbt. Sarà un 2019 carico di eventi e di responsi importanti per Kristen. Archiviati l’incompreso “Lizzie” e l’ennesimo prodotto tutt’altro che scontato bocciato dal box office, ossia “Jeremiah Terminator Leroy” – incentrato sul grande bluff messo in atto dalla scrittrice Laura Albert, creatrice di un personaggio fittizio che ha recitato per anni la parte di Leroy ma il cui vero nome è Savannah Knoop -; a gennaio 2020 scoccherà l’ora del fantascientifico “Underworld”, mentre attesissimo al Festival di Venezia è il thriller politico “Against All Enemies” in cui vengono scansionati i legami tra l’attrice icona della Nouvelle Vague Jean Seberg e le Pantere Nere. Un ruolo, quello della vulnerabile Seberg che ha già garantito a Kristen un premio al Festival del Cinema Americano di Deauville. A fine ottobre sarà invece la volta dell’ennesima versione delle “Charlie’s Angels”; per la regia di Elizabeth Banks e che dovrebbe essere una garanzia al botteghino.

Proiettata verso il futuro, Kristen Stewart non è ancora riuscita a liberarsi completamente del proprio passato. Troppe sono ancora le pressioni, i blocchi interiori, le incertezze. Presa in ostaggio da Hollywood, ma risoluta nel non divenirne schiava, Kristen Stewart non è una star e non si sente tale; anche per questo, non fosse tanto famosa, sui set potrebbe apparire come una ragazzetta comune, non ancora trentenne, in attesa della grande occasione; mentre in realtà è il nome di punta della produzione, e fa tenerezza saperla incastrata tra le pieghe e le crepe del suo stesso talento, troppo spesso ingiustamente sfregiato, intrappolata in un limbo che non rende giustizia al suo valore. 

Kristen Ringraziamento

Il Giorno del Ringraziamento, o Thanksgiving Day, è una festa osservata negli Stati Uniti il quarto giovedì di novembre, in segno di gratitudine verso Dio per il raccolto e per quanto ricevuto in dono durante l’anno. Nel 2018 cadeva il 22 novembre e il set delle Charlie’s Angels era di base a Berlino. La sveglia era suonata alle 5 e lo stesso sarebbe avvenuto il giorno successivo, ma alla sera venne organizzata una cena che facesse sentire a casa tutti i componenti del cast. Finì che oltre agli americani, parteciparono molti tedeschi e tutti poterono leggere un messaggio, su una lavagna. Piccole cose, forse, ma quelle parole, scritte sia in inglese che in tedesco, lasciarono a bocca aperta tutti coloro che sanno riconoscere lo spessore di un gesto, la dolcezza di un pensiero. 

Quasi fosse stata illustrata da Rebecca Dautremer, i cui personaggi siano essi una principessa, un coniglio, un principe o un topolino prendono vita attraverso colori intensi, ma allo stesso tempo delicati; Kristen Stewart vive di e nei contrasti, in un maelstrom emozionale la cui coerenza risiede nell’assenza di una logica, ammesso non si sia disposti a lasciarsi conquistare, sedurre dalla sua selvaggia, ma al tempo stesso sofisticatissima, semplicità.

Kristen Stewart