Serena Williams, l’indomabile

Serena Williams ha fatto giocato la sua prima partita ufficiale nel circuito professionistico nell’ottobre del 1995 a Quebec City. Giusto per inserire la data in un contesto comprensibile, nel 1995 le nuove stelline del firmamento tennistico non erano ancora nate. Nell’arco di questi anni Serena Williams ha conquistato 73 tornei WTA. La prima volta è avvenuta il 28 febbraio del 1999 all’Open Gaz de France; l’ultima, almeno fino ad ora dato che con Serena vige la regola del “mai dire mai”, il 12 gennaio 2020 Al ASB Classic di Auckland. Tra i 73 titoli spiccano 23 Prove del Grande Slam, 5 Master e un oro olimpico; ben quattro se si considerano anche i doppi conquistati con la sorella Venus.

La distribuzione degli slam consiste in 7 Australian Open, 7 Wimbledon, 6 Us Open e 3 French Open. Quanto al numero di settimane in vetta al ranking, sono fino a questo momento 319. Numeri mastodontici che se vivisezionati singolarmente, vuoi perché arcinoti, vuoi perché per l’appunto cifre, assumono una connotazione fredda, quasi nichilista. Serena Williams: da tutti considerata la più forte anche quando non era lei a essere in cima alla classifica. Serena Williams: la fuoriclasse capace di far apparire normale, ordinaria, qualsiasi impresa da lei compiuta, tanto che le rare volte in cui usciva sconfitta da un campo tutti erano arrivati a pensare, a credere, a sostenere che fosse lei ad aver perso e non le sue avversarie a vincere. Questo perché tramite i numeri Serena Williams ha eretto intorno a se’ una sorta di “mito dell’imbattibilità”.

Restando nel campo dei numeri, Serena Williams ha ormai quarant’anni. Eppure, in queste “quasi quaranta” primavere ci sono stati anche tanti gelidi inverni, così come su questi ventitré anni di carriera, non di rado è gravata una nebbia spessa, ansiotica, carica di incertezze. Perché se presi tra le mani, se osservati con spontaneità, se sviscerati, dentro a quei numeri urla un uragano impregnato di pathos pronto a riversare sugli addetti ai lavori, ma soprattuto su chi ama veramente il tennis, un poderoso soffio di magia.

Serena, Venus ed il padre: Richard Williams

Quinta figlia di Oracene Price e Richard Williams; Serena nasce a Saginaw, nel Michigan il 26 settembre del 1981. Oracene è una donna pratica e coerente che ha imparato a dare il giusto peso al carattere impetuoso del marito, un uomo sempre pieno di progetti, la maggior parte dei quali campati in aria, la cui ultima fissazione è fare di almeno un paio delle sue figlie delle campionesse di tennis. Per riuscire nel suo scopo, Richard, che mai aveva impugnato una racchetta, si studia volumi sul tennis e, si improvvisa regista stabilendo che il Michigan non è la location adatta per forgiare due tenniste. Lui vuole temprarle, vuole che crescano in un luogo dove, una volta uscite, possano affrontare a testa alta qualsiasi situazione, che non abbiano paura di nulla. Secondo questo lucido visionario è il ghetto quello che ci vuole. Anche per questo la “freccettacala su Compton, una città che si estende ai margini di Los Angeles in cui due gang chiamate “Bloods” e “Crips” fanno il bello e cattivo tempo. È lì, in un campo pubblico, che Venus e Serena Williams entrano per la prima volta in un campo da tennis. È lì che prende forma il sogno di un uomo destinato a dare inizio ad una nuova era. Tutto questo, poco ha a che fare con i numeri.

Quando Jack Kramer e Jimmy Evert, il padre della grande Chris, vedono giocare le imbattibili sorelline Williams rimangono allibiti. L’eco delle loro imprese fa si che riviste del calibro di Sport Illustred e del New York Times parlino di loro come dei veri e propri fenomeni. Alla porta della famiglia Williams si sussegue una processione di manager, aziende pubblicitarie e sponsor disposte a coprire d’oro le due bambine prodigio; ma Richard e Oracene, che sono sempre andati poco d’accordo su un aspetto la pensano nello stesso identico modo: devono preservare l’educazione e la serenità delle ragazze il più a lungo possibile. Per questo rifiutano qualsiasi cifra.  «Venus e Serena diventeranno le prime due giocatrici del mondo. Quando dimostreranno il loro valore, allora anche i soldi arriveranno»; chiosano in coro prima di trasferirsi a Delray Beach, in Florida, alla Macci Accademy, dove si accontentano di usufruire di un appartamento e di un contributo di circa 4.000$ mensili. L’idillio è breve: se il coach di origine italiana vorrebbe offrire il Circuito Juniores in pasto a Venus e Serena, i coniugi Williams sono persuasi che le figlie debbano attingere le motivazioni non dalle vittorie, ma dall’allenamento, dalla dedizione, dal duro lavoro. Da quel momento Richard Williams viene soprannominato Svengali, come il personaggio interpretato da John Barrymore nel film omonimo che narra le vicende di uno spregiudicato pianista che seduce con l’ipnosi una giovane per farne una cantante acclamata in tutto il mondo. Si potrebbe scrivere un libro di trecento pagine solo sui primi tredici anni di vita di Serena Williams e di sua sorella Venus. L’ossessione di un padre. Il coraggio di una madre che non si stanca di ripetere alle figlie affinché la competizione non si trasfiguri in avversione: «Il tennis un giorno finirà, voi resterete sorelle per sempre». Le speranze di due bambine afroamericane. Il loro talento, i loro sacrifici. E questi non sono numeri.

A distanza di undici anni dalla prima vittoria al Roland Garros, nel biennio 2013-2014 Serena è tornata ad imporsi a Parigi

Spesso si tende a dimenticare che anche i grandi campioni sono stati bambini e che forse il loro passato ha contribuito a fare di loro ciò che sono diventati. Quando si parla di Serena Williams si è portati ad archiviare i suoi traguardi con un sospiro accompagnato una scrollata di spalle, quasi fosse indistruttibile, inattaccabile. In molti sono persino arrivati ad incolpare le sorelle Williams di aver rovinato il tennis, con i loro bicipiti scolpiti, la loro possente fisicità, la loro convulsa potenza sprigionata nei colpi. Entrare nel dettaglio delle vittorie di Serena Williams è considerato dai più “banale”. Eppure è forse all’ordine del giorno vincere il secondo Roland Garros a undici anni di distanza dal primo? È qualcosa di “normale” vincere tre ori olimpici in coppia con la sorella? Ma non entreremo nei dettagli dei trionfi, e non certo perché si possa correre il rischio di cadere in un asettico riepilogo; dato che sin troppo spesso dimentichiamo come dietro ad ogni vittoria può celarsiuna storia”; un terzo turno all’ultimo sangue, un battibecco con l’avversaria, un’eliminazione precoce scampata per un soffio. Ecco perché i numeri, per quanto possano offrire un esaustivo quadro generale, sono destinati a inchinarsi alle emozioni che sprigionano chi, questi numeri li ha resi possibili.

Come ogni grande storia che si rispetti, la vita di Serena Williams è intrisa di dramma. Molti dei successi conseguiti da Serena Williams, sono stati letti con il senno di poi come potenziali canti del cigno; perché svariati sono stati gli infortuni, altrettanti i mesi di stop – a volte per cause al limite dell’assurdo come quando all’uscita di un ristorante si ferì sotto alla pianta di un piede con un vetro e dovette affrontare un calvario lungo mesi -, gravi alcuni incidenti di percorso – basti pensare alle due embolie polmonari che l’hanno colpita nel  2011 e nel 2017 – non sempre scontati sono stati ritorni. Moti d’orgoglio, come la scelta di boicottare il torneo di Indian Wells per quattordici anni – reazione ai fischi del pubblico durante l’ultimo atto tra Serena e Kim Clijsters, perché Venus non era scesa in campo contro la sorella in occasione della semifinale e venne giudicato una scelta imposta a tavolino dal padre -. Rivalità prese di petto – come con Jennifer Capriati, Justine Henin, Jelena Jankovic e Maria Sharapova; alla quale non ha mai perdonato qualche esultanza di troppo durante la finale del Master 2004 quando la statunitense terminò il match dolorante a una gamba – sfociate in litigi in campo, in rancori mai propriamente sanati. Ingiustizie subite – la più palese quella in occasione dell’US Open 2004 quando contro Jennifer Capriati è stata letteralmente “rapinata” -; perdite di controllo come quando arrivò a minacciare l’ottusa Shino Tsurubuchi, rea di averle chiamato un fallo di piede in un frangente delicatissimo durante la semifinale dell’US Open 2009 che le costò un warning e di conseguenza il match, ma ancora di più durante la finale dell’US Open 2018 quando ha innescato una vera e propria guerra personale contro il giudice di sedia Carlos Ramos. Non meno drammatiche sono state le rese nelle sue ultime due finali slam perse, a Wimbledon dove ha racimolato quattro games con Simona Halep, e nuovamente all’US Open per mano di Bianca Andreescu; dove è sembrata accettare la sconfitta senza lottare, quasi rassegnata a non esser destinata ad acciuffare quel record di slam tuttora appartenente a Margaret Court Smith.

Serena Williams si è imposta sei volte nello slam newyorkese: nel 1999, 2002, 2008, 2012, 2013 e 2014 REUTERS/Mike Segar

E poi, certo, tante le sconfitte brucianti, come il clamoroso stop al terzo turno di Wimbledon 2005 per mano della connazionale Jill Craybas, l’eliminazione agli ottavi dell’Australian Open nel 2012 quando si vide infliggere un severo 6-3 6-2 da Ekaterina Makarova, la sconfitta subita nel gennaio 2013 sempre nello slam aussie da Sloane Stephens. E poi l’amaro Roland Garros 2008, spazzata via da Katarina Srebotnik, nonché l’onta del primo turno nello slam parigino del 2012, quando una Virginie Razzano, vedova del fidanzato la sconfisse 4-6 7-6 6-3 con Serena, in conferenza stampa, pronta a replicare al giornalista che le aveva ricordato la notizia: «ognuno ha i propri lutti» Rievocava ovviamente l’agguato in cui perse la vita sua sorella Yutende. E tutto questo è molto più che banali numeri.

Diventata mamma di una bambina; Serena Williams è tornata in campo nel marzo 2018 e, nonostante le enormi difficoltà evidenziate prima nel deserto di Indian Wells, poi nell’afosa Miami, così come al Roland Garros – dove agli ottavi non è scesa in campo contro la Sharapova – a Wimbledon ha trovato la forza di spingersi fino in finale, la sua decima ai Championships. Il 1 agosto si sarebbe verificato pure la sconfitta più pesante della sua carriera quando, al primo turno di San José ha perso 6-1 6-0 contro Johanna Konta. La resurrezione, seppure parziale, non si è fatta attendere e all’US Open ha messo i piedi nella sua 31esima finale slam assolutaLontana anni luce dalla forma fisica migliore; nonostante l’innata forza mentale e la capacità di porsi sempre nuovi obiettivi; Serena Williams si è ritrovata al cospetto dell’ennesima sfida: scalare una classifica che l’aveva respinta a n.491 del ranking, ricucire il proprio gioco, trovare la chiave giusta per riuscire a gestire questa nuova dimensione di madre-tennista. 

Imponente, orgogliosa, impetuosa, indomabile. Serena Williams è la guerra stipata nel cuore della natura; laddove il peso del corpo diventa un tutt’uno con il braccio, con il cuore, con la testa; per generare, per sprigionare una potenza talmente pulita che è sinonimo di talento ma che, non appagata, finisce con il cibarsi del proprio stesso talento. La pallina non parte dalle racchetta di Serena Williams, fugge, esplode al pari di un lampo che lacera una nube. Serena è un terremoto di emozioni trattenute pronte a sbranare la quiete. Serena è un vento carico di sabbia. Serena è un maelstrom nero. Serena è una vertigine che sovrasta l’abisso. Serena Williams è un’ombra che tutto oscura ma da cui si dirama un alito che ti prende per mano, per mostrarti la strada, per aiutarti ad attraversare il buio. Il buio dei numeri, al di là dei quali si dirama la luce.