L’anima spietata di Krzysztof Kieslowski
«Mia madre fu una delle ragioni per cui decisi di diventare un regista. Dopo aver sostenuto per la seconda volta l’esame di ammissione per la Scuola di Cinema di Lòdz, tornai a Varsavia e mi accordai con mia madre di incontrarla vicino alla scala mobile di Piazza Castello. Pioveva a dirotto e lei mi aspettava in piedi, tutta bagnata. Era dispiaciuta che non fossi riuscito ad entrare in quella scuola per la seconda volta. “Guarda, forse non ci sei proprio tagliato”, mi disse. Non so se stesse piangendo o se fosse la pioggia ma ero affranto che si sentisse tanto triste. Fu allora che decisi che l’anno dopo sarei entrato in quella scuola e che sarei diventato un regista. Semplicemente perché mia madre era così terribilmente triste». Parte da questo episodio di vita la carriera di regista di Krzysztof Kieslowski nel cui cinema le emozioni sfociano, spesso dirompenti, ambigue, sottili e, proprio per questo, laceranti, mentre il suo sguardo si mantiene rigido, impietoso, anche e soprattutto quando i suoi personaggi si ritrovano al cospetto di quel bivio che li induce a dover compiere una scelta che influenzerà irrimediabilmente la loro vita.
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