Katharine Hepburn, una fuga verso la leggenda
Recatosi a New York alla ricerca di qualche talento da soffiare a Broadway per conto della RKO Pictures, il rampante agente Hollywoodiano Leland Hayward avrebbe raccontato di essersi imbattuto «nel nulla» finché, con già un piede sul volo di ritorno, venne convinto da uno strillone di strada a concedere una possibilità a “The Warrior’s Husband”; una rivisitazione della “Lisistrata” di Aristofane. Bastarono due ore di spettacolo per rimettere quel viaggio in discussione e pretendere minuziose informazioni sull’algida bellezza che interpretava Antiope. Quel che gli raccontarono non lo rincuorò troppo: era una venticinquenne dal carattere piuttosto difficile che, dopo anni di apprendistato nei teatri di Baltimora, si era presentata nella Grande Mela offrendo una performance tutt’altro che convincete nel dramma “The Big Pound” ed essere prima licenziata e poi riassunta nella commedia “Art and Mrs. Bottle”. Consapevole del proprio fiuto, Hayward si mise comunque in contatto con la donna e le propose di sostenere un provino per il ruolo di Sydney Fairfield in “Febbre di vivere”; sesto film dell’enfant prodige George Cukor. Lei acconsentì, senza scomporsi. Chi rimase senza fiato fu il regista; il quale la descrisse come «una strana creatura, diversa da qualsiasi cosa avessi mai visto». Incantato dalla classe con cui lei posò un bicchiere durante il provino, a sconvolgere la casa di produzione fu la richiesta inerente al compenso di quell’attrice sconosciuta: 1.500 $ a settimana. Eppure George Cukor si impuntò, fu irremovibile. E fu così che creò Katharine Hepburn.
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