Lo spietato mondo di Dogville

Se l’obiettivo originale di Dogma 95 era quello di purificare il cinema dalla cancrena degli effetti speciali, dagli investimenti miliardari e dalla spettacolarizzazione tesa ad americanizzare qualsiasi prodotto, partendo da linee base piuttosto precise – fondate su un decalogo redatto dagli ideatori del progetto Thomas Vitenberg e Lars Von Trier – come il divieto di usare luci artificiali, scenografie, colonne sonore e tracce che non appartenessero a musica diegetica, nonché di rifiutare un qualsiasi espediente di ripresa al di fuori della telecamera a mano; ebbene, a otto anni di distanza dalla nascita del Manifesto, correva quindi l’anno 2003, l’uscita nelle sale cinematografiche di Dogville ha dimostrato che credere di poter incatenare un genio a una qualsiasi regola, fosse pure la più anti-convenzionale, fosse pure la più controcorrente, fosse pure essa stata scritta di suo pugno, risponde a un solo nome: utopia. Non è perciò da ritenersi un caso che, tempo due stagioni, i registi appartenenti a tal proposito abbiano sancito la fine di un patto mai interamente rispettato.

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