Evgeny Kafelnikov, il principe delle ombre
La celebre frase di Sir Wiston Churchill, quando definì le intenzioni della Russia dopo la spartizione militare della Polonia con la Germania hitleriana, «un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma», fatte le debite proporzioni; pare combaciare in tutta la sua sinistra perfezione con l’indole indecifrabile, che ha determinato irrimediabilmente l’irrazionale coesistenza di trionfi e cadute, nel campo come nella vita, di Evgeny Kafelnikov. Nato a Sochi, il 18 febbraio del 1974; seppure alla nascita pesasse ben 5kg e 100 gr. quando il padre Aleksandr lo accompagna per la prima volto al Riviera Park, un Circolo Tennis immerso in un bellissimo parco della città, Evgeny ha cinque anni ed è talmente gracile che il maestro a cui viene affidato, tale Peschanko, si chiede come faccia a reggere la racchetta. Eppure, oltre ad avere la forza per tener ben salda l’arma del mestiere, sembra possere pure una dimestichezza tale da consentirgli di piazzare la pallina dove vuole. È però sotto alla rigida guida di Valeriy Shishkin che Evgeny inizia a domare sempre più traiettorie, impreziosendole a poco poco di quella forza, di quell’aggressività che, in perenne contrasto con i gesti aggraziati, diventeranno le colonne portanti del suo gioco fondato su una potenza mai banale in quanto, agile, dinamica. Quando si affaccia nel Circuito Juniors, dominando insieme ad Andrei Medvedev i Campionati Europei e la Sunshine Cup, Kafelnikov è un quattordicenne affusolato, il cui volto pallido, lo sguardo impenetrabile e il portamento dignitoso gli donano un’inconsueta aria aristocratica.
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