La persistenza della memoria

«Il giorno in cui decisi di dipingere degli orologi, li dipinsi molli. Ciò avvenne in una sera in cui ero stanco. Avevo l’emicrania, il che mi accade raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e all’ultimo momento decisi di restare a casa. Gala uscì con loro, mentre io mi coricai presto. Avevamo concluso la nostra cena con un camembert eccezionale e, allorché fui solo, rimasi ancora per un momento seduto a tavola pensando ai problemi che mi poneva questo formaggio. Mi alzai e mi recai nel mio studio, per gettare un ultimo sguardo al mio lavoro, come era mia abitudine. Il quadro a cui stavo lavorando raffigurava un paesaggio nei dintorni di Port Lligat, le cui rocce sembravano illuminate dalla luce trasparente del crepuscolo. In primo piano avevo dipinto un ulivo, dei rami tagliati e senza foglie. Questo paesaggio doveva servire di sfondo ad una nuova idea, ma quale? Cercavo un’immagine sorprendente, ma non riuscivo a trovarla. Spensi la luce, e uscii dalla stanza e in quel preciso momento “vidi” letteralmente la soluzione: due orologi molli, uno dei quali pietosamente appeso a un ramo dell’ulivo. Malgrado l’emicrania, preparai la mia tavolozza e mi misi all’opera. Due ore dopo, allorché Gala tornò dal cinema, il quadro era finito…». È con queste parole che tra le pagine di “La mia vita segreta” Salvador Dalì racconta la genesi di una delle sue opere più celebri: “La persistenza della memoria”.

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Salvador Dalì, l’inventore dei sogni

Era inaccettabile il mondo per Salvador Dalì e la realtà lo oppresse, lo inorridì al punto da indurlo a cercare rifugio in una dimensione dove lo scorrere di un tempo inesistente, piegatosi alla memoria, poteva assumere la duplice valenza di liberazione e trappola inconscia, seppure capace di sfuggire ai perversi meccanismi della morte, esorcizzata tramite visioni oniriche a volte cupe, altre luminose, incessantemente contorte, inquietanti, eppure inclini a rendere legittima l’evenienza di una via di fuga. Corpi simili a marionette infestate dalle tarme e bisognosi di un appoggio, fiori in procinto di appassire, cibo destinato a degradarsi, uova elette a simbolo di universo intrauterino, orologi afflosciati, insetti, elefanti dalle zampe sottilissime, cavalli, felini, ma soprattuto, a invadere l’immaginario dell’artista fu Gala, la moglie onnipresente, adorata, invocata, santificata al punto da raffigurare la Madonna con il suo volto, di donare il lineamenti a Gesù.

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Angelus dipinto dal pittore francese Millet

L’Angelus di Millet, tra fede e mistero

Nel suo più celebre dipinto “L’Angelus”, Jean-Francois Millet raffigura due contadini, un uomo e una donna di giovane età con il capo chino e le mani giunte al petto che, come suggerisce il richiamo della chiesa di Chailly-en-Bière visibile sullo sfondo, sono assorti nella recita del Angelus Domini, preghiera che ricorda il mistero dell’incarnazione e da recitarsi al rintocco delle campane alle sei del mattino, a mezzogiorno e alle sei di sera. L’immensa e desolata pianura che circonda la coppia accresce la posa monumentale dei soggetti, i cui visi sono lasciati in ombra mentre una luce soffusa sottolinea quanta devozione vi sia nel loro raccoglimento. Oltre alle due figure hanno una notevole valenza scenica un forcone piantato nel terreno, una carriola con dei sacchi, una cesta con delle patate, uno stormo di rondini appena accennato il quale, rafforzato dagli abiti dei due soggetti, suggerisce come l’ambientazione sia legata a un mese primaverile.

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