Serena Williams, l’indomabile

Serena Williams ha fatto giocato la sua prima partita ufficiale nel circuito professionistico nell’ottobre del 1995 a Quebec City. Giusto per inserire la data in un contesto comprensibile, nel 1995 le nuove stelline del firmamento tennistico non erano ancora nate. Nell’arco di questi anni Serena Williams ha conquistato 73 tornei WTA. La prima volta è avvenuta il 28 febbraio del 1999 all’Open Gaz de France; l’ultima, almeno fino ad ora dato che con Serena vige la regola del “mai dire mai”, il 12 gennaio 2020 Al ASB Classic di Auckland. Tra i 73 titoli spiccano 23 Prove del Grande Slam, 5 Master e un oro olimpico; ben quattro se si considerano anche i doppi conquistati con la sorella Venus.

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Wimbledon, un attimo di eternità fuori dal tempo

Wimbledon. Semplice da pronunciare, ma non troppo, a pensarci bene. Wimble-den. La cadenza troppo british ti fa sorgere il dubbio se sia proprio quello il posto dove si disputa il torneo di tennis. Poi c’é dell’altro, molto altro. Perché ecco, a Melbourne Park ci si riflette quasi sul fiume Yarra e l’efficenza aussie si sposa a meraviglia con il distretto finanziario che si estende a pochi passi, in termini di yards s’intende, mentre nel quartiere d’Auteuil si respira Parigi tanto che basta arrampicarsi in cima alla terza categoria del Philippe Chatrier per distinguere la Torre Eiffel, non parliamo poi di Flushing Meadows, il parco di 500 ettari creato sulla valle di ceneri descritta da Francis Scott Fitzgerald in Il Grande Gatsby, dove nonostante tutto ti senti accartocciato nel ventre di New York. A Wimbledon invece… Non sei propriamente a Londra. Soprattutto nei giorni precedenti il torneo di tennis, prima che il delirio si impossessi degli appassionati del nobil gioco, gente pronta a tutto, come accettare la possibilità di essere sorteggiati di anno in anno in occasione della lotteria ufficiale per avere un biglietto tra le mani, colpo di fortuna che difficilmente si avvererà, quindi uomini e donne di ogni età, provvisti dell’indispensabile queue card, disposti a fissare per quattro, cinque ore, la nuca dell’individuo che lo precede pur di avere la meglio sulla mitologica queue, magari dopo aver campeggiato all’addiaccio.

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Serena Williams e il sogno (in)giustamente spezzato

Un po’ come accadde a Iva Majoli in quello che appare come un lontanissimo e annebbiato 1997 quando la sua vittoria al Roland Garros l’avrebbe fatta passare alla storia non tanto come una campionessa slam quanto come “la croata che impedì a Martina Hingis di realizzare il Grande Slam”, diciotto anni dopo Roberta Vinci ha prenotato il posto, apparentemente impossibile da riservare, di outsider capace di infrangere il sogno della n.1 del mondo Serena Williams. Lei, la portentosa quasi trentaquattrenne nativa di Saginaw, l’infanzia trascorsa a Compton, una scalata verso l’Olimpo fortemente voluta dal padre pigmalione, un visionario per alcuni, uno Svengali per altri. Lei, Serena, perennemente a se stante eppure volenti o nolenti unita per l’eternità alla sorella Venus, sul tetto del mondo e puntualmente in lotta per contendersi slam contro “il resto del mondo”, da tempi immemori, ossia diciotto anni. Lei, Serena l’imbattibile, almeno si credeva, negli appuntamenti che contano, uscita sconfitta non da un campo qualsiasi, bensì da quell’Arthur Ashe Stadium che è stato sei volte suo senza però esserlo mai stato in pieno, perché Serena Williams mai è stata pienamente amata e capita in patria e mai lo sarà; ebbene battuta non da quella Victoria Azarenka da molti ritenuta la vera e propria mina vagante “anti-Grande-Slam”, non da Simona Halep da molti attesa al grande salto, non da Svetlana Kuznetsova, sempre capace di quel guizzo che è marchio di fabbrica delle fuoriserie, no, da una giocatrice “come tante”, seppure non proprio come tutte, da una Roberta Vinci, una data per “finita“, una considerata “più una doppista che una singolarista”.

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Fino alla fine del mondo

Bernardo di Turingia fu il primo profeta ad aver fissato la fine del mondo all’anno 992. In molti credettero alla profezia, tanto da cercare rifugio nelle montagne più alte dei dintorni. Il mondo però non finì e quando nel 1665 un’epidemia di peste colpì l’Inghilterra provocando circa 100.000 vittime Solomon Eccles, quacchero, proclamò che l’ondata era il segno della fine dei tempi. A far cessare la peste e a scongiurare il peggio bastò un incendio che devastò Londra. È il 1932 quando l’egittologo George Riffert analizza le dimensioni della Piramide di Cheope e afferma che il mondo finirà il 6 settembre 1936. Accortosi che non era finito nulla, stabilisce una nuova data: il 20 agosto 1954. Niente da fare. È la volta del 1992: a dirlo è un sacerdote sud coreano, Lee Jang Lim; tutti spacciati, tranne chi fosse corso in banca, avesse prelevato i propri soldi per donarli alla Chiesa Missionaria di Tami. Rientrato il pericolo, ecco che si avvicina la Profezia di Michel de Notre-Dame, noto come Nostradamus che, in merito al 1999 aveva vaticinato: “mille e non più mille“. Un altro flop. A nuovo millennio in corso qualche irriducibile catastrofista è andato a rispolverare una credenza Maya la quale prevedeva un evento di natura imprecisata e di proporzioni immani, capace di trasformare drasticamente l’umanità in data 21 dicembre 2012. Ad ogni modo, per ora, il mondo è ancora qui. Ma se avessimo la certezza che in una “data x” il nostro pianeta si oscurasse per davvero? Se così fosse e, mettiamo, potessimo contare su un’immaginaria Arca di Noè a posti limitati, capace di ospitare alcuni campioni del tennis; chi faremmo salire a bordo? Chi metteremmo in salvo affinché le nuove forme di vita potessero accarezzare le memorie che avevano emozionato il precedentemente estinto genere umano?

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La via della natura, la via della grazia

«Ci sono due vie per affrontare la vita: la via della Natura e la via della Grazia. Tu devi scegliere quali delle due seguire». Il sipario di The tree of life si apre con queste parole che, quasi fossero estrapolate da un passo biblico, danno vita ad un’opera molto più vicina ad una tragedia greca, a un elegia, che a un film. Può accadere di estraniarsi, di uscire dal corso del tempo, di essere catturati, rapiti. È possibile lasciare un pezzo del proprio cuore su un campo da tennis. Può succedere, se su quel campo hanno camminato, Serena Williams, Roger Federer Martina Hingis. Ci sono due vie per affrontare il tennis: la via della Natura e la via della Grazia.

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