Di ghiaccio son gli Dei

Una leggenda russa recita che in alcune regioni della Siberia ai bambini vengono allacciati i pattini ai piedi ed imparano a scivolare sul ghiaccio prima ancora di saper camminare. Una favola racconta invece di due bambini, Ekaterina e Sergei, che si conoscono sulla pista di pattinaggio del CSKA Mosca quando hanno appena cinque e nove anni e, sempre sui pattini, diventano una coppia imbattibile al punto da sembrare “una cosa sola”, così come sono destinate ad esserlo le loro anime. Una favola, la loro, che sarebbe diventata di tutti, perché mai era accaduto che uno sport così tecnico, così di nicchia, avvicinasse orde di profani, perché loro ammaliavano chiunque li guardasse, non solo i giudici, anche gli avversari, perché solo loro erano così leggeri da rendere ancora più profonde le note di Bethoveen, perché quando danzavano il tempo sembrava fermarsi. Fosse stata per davvero una favola e non una storia vera, l’epopea di Ekaterina Gordeeva e Sergei Grinkov, avrebbe limitato i risvolti drammatici ai brani che sceglievano per accompagnare le loro imprese, mentre invece la fiaba degli dei del ghiaccio, si è tinta di tragedia, trasformando le grandiose gesta della coppia russa in epica, in versi destinati a tramandarsi per l’eternità.

Quando Stanislav Zukh, vera e propria istituzione del pattinaggio sovietico ed allenatore al CSKA di Mosca, li vede pattinare per la prima volta Sergei Grinkov ha quindici anni ed Ekaterina Gordeeva undici. “D’ora in poi voi due vi allenerete sempre insieme”; ordina. Una decisione presa in un attimo, da cui non si può tornare indietro. All’inizio non va nemmeno così bene: Ekaterina è scheletrica, per due volte non trova la presa, cade e si frattura un braccio, mentre Sergei si sente responsabile di qualsiasi cosa la riguardi, la vede per quella che è, poco più che una bambina, ma ormai per lui è inconcepibile anche solo immaginarsi a fianco di un’altra partner. Ben presto Tamara Moskvina, altra notissima allenatrice presso le Forze Armate, comprende di stare plasmando qualcosa di destinato a rimanere alla storia, qualcosa che farà la storia: non solo Sergei ed Ekaterina erano dotati del più puro stile classico, non solo erano disciplinati al punto dall’esaudire qualsiasi sacrificio che veniva loro richiesto senza mai accennare alla minima obiezione, tra loro c’era dell’altro, erano legati da un amore inconfessato, platonico.

Nel 1985 a Colorado Springs, Ekaterina Gordeeva e Sergei Grinkov diventano i Campioni del Mondo Juniores. Da quel momento, ovunque vanno è un tripudio. Dai Campionati Europei ai Mondiali, spettatori e giurie restano sedotti, rapiti, da quei due sovietici dotati di una bellezza enigmatica che quando sono all’opera portano il pattinaggio su un’altra dimensione: se Grinkov si sposta sul ghiaccio senza produrre alcun rumore, Ekaterina gli ruota attorno come se vincesse la forza di gravità. Alle Olimpiadi di Calgary, nel 1988, arriva anche l’oro olimpico. Qualcuno scrive che quel giorno “G&G” avevano cancellato qualsiasi confine, che avevano simbolicamente spezzato qualsiasi cortina di ferro. A Sergei e Katja manca solo una cosa: il coraggio di dichiararsi. Finché la sera di San Silvestro del 1988 Grinkov le chiede: “Posso darti un bacio?”. Il matrimonio arriverà il 20 aprile di due anni dopo.

È nei primi anni ’90 che da campioni invincibili, i due moscoviti diventano veri e propri personaggi universali: attirati dai dollari statunitensi stravincono gli “Stars on Ace” e passano al professionismo, pregiudicandosi così i Mondiali nel 1992, ma diventando sempre più famosi, sempre più idolatrati. L’11 settembre del 1991 nasce la loro prima ed unica figlia Daria Sergeyevna Grinkova; non in Russia, bensì a Morristown, in New Jersey. L’anima di Sergei e Katja rimane però fedele alla madrepatria: l’inglese lo capiscono ma preferiscono non parlarlo e le vacanze le trascorrono a Mosca. Le foto di Sergei, Ekaterina e della piccola Daria nella Piazza Rossa fanno il giro del mondo. Quando nel 1994 una nuova regola ISU, che pare cucita su misura per loro, permette ai professionisti di rivestire i panni da dilettanti, “G&G” si presentano a Lillehammer e sulle note del chiaro di luna conquistano il secondo oro Olimpico donando al mondo una delle esecuzioni più meravigliose di tutti i tempi.

Il 12 novembre del 1995 la coppia russa accetta di esibirsi a Philadelphia. Sulla pista dell’auditorium risuona il brano che stanno sistematicamente provando in previsione del prossimo appuntamento mondiale: il Requiem di Verdi. Se Ekaterina sembra persino ringiovanita, con il senno di poi, qualcuno noterà invece che Sergei, per quanto autore di un esercizio impeccabile, era apparso stanco, gonfio in volto. La standing ovation che segue la loro performance è vigorosa, così come saldamente nelle mani degli dei del ghiaccio appare il futuro.

Finché venne il 20 novembre. Sergei ed Ekaterina hanno scelto  Lake Placid per preparare al meglio la prossima gara. Il Requiem è solo una traccia, l’hanno già eseguita tante volte, eppure la solennità che emana sembra provocare una sorta di disagio ad Ekaterina, che però ben presto si ricrede: non è Verdi, è Sergei, quel giorno è molto pallido, più silenzioso del solito. Sta per chiedergli se va tutto bene, quand’ecco che lui si accascia per non risollevarsi più. Quando arriva l’ambulanza il polso non batte. Un’ora dopo, in ospedale, un medico informa Ekaterina Gordeeva del decesso. Lei, non riesce a cogliere il senso delle parole. Quando le mostrano il marito non è più l’Adone di ventotto anni le cui lame sussurravano sul ghiaccio anziché grattare in esso. Sergei Grinkov è un cadavere con ancora i pattini ai piedi. Le diranno che nessuno ha osato sfilarli. Ekaterina Gordeeva non piange, gli sfila i pattini e la fede per poi disporre i funerali nella sede sportiva del CSKA di Mosca.

Quando il cuore di Grinkov si è fermato, la Russia ha perso il figlio prediletto”, dicono ai telegiornali. A piangere disperata sulla bara aperta è solo la madre, Anna Filipovna Grinkova. Suo padre, Mikhail Kondrateyevich Grinkov, era morto quattro anni prima a causa di un attacco di cuore. Ekaterina Gordeeva non versa lacrime, ma per l’intera funzione non distoglie un solo istante lo sguardo dal feretro. Mentre i giornali di tutto il mondo comunicano come l’autopsia abbia accertato che Sergei Grinkov soffriva, oltre che di ipertensione, di una grave forma di arteriosclerosi, in quanto una delle arterie cardiache era quasi completamente ostruita, Ekaterina, consegna la figlia ai nonni e si rifugia nel piccolo e vuoto appartamento di Mosca che la coppia non aveva mai voluto vendere. La sola con cui accetta di parlare è la sua prima allenatrice, Marina Zueva. Dopo alcuni giorni Ekaterina Gordeeva si fa spedire i suoi pattini da Simsbury, la comunità nel Connecticut in cui viveva insieme al marito.

La pista del CSKA di Mosca non è tanto diversa da vent’anni prima, dal giorno in cui il suo sguardo di bambina incrociò quello di un ragazzino di nove anni che sarebbe diventato suo marito. Ekaterina racconterà che mai come nel primo giorno sul ghiaccio senza Sergei, si è sentita pervasa da una solitudine e da un vuoto incolmabile. Racconterà che a ventiquattro anni la vita l’aveva irrimediabilmente spezzata, che la sola consolazione era rivedere sul volto della figlia Daria gli occhi ed il sorriso dell’adorato Sergei. Il tempo e il matrimonio con Ilia Kulik hanno forse ridonato ad Ekaterina Gordeeva almeno un pezzo di quella ‘parte mancante’ di cui il destino l’aveva privata quando si era preso l’adorato Sergei.

O forse, chissà, anche la scelta di una seconda unione altro non è stata che l’ultimo suggerimento sussurrato dal fantasma dell’immortale Grinkov, consapevole di aver impedito alla vita di separare ciò che la morte sempre avrebbe unito, conscio di aver portato con sé lo spirito, il cuore di Ekaterina Gordeeva, la bambina, la donna, con cui sempre danzerà laddove muore la morte, al di là dell’orizzonte dove ha inizio l’infinito ghiaccio dell’eternità.