Justine Henin, la regina che non sapeva farsi amare
6 giugno 1992. Sulle tribune del Philippe Chatrier c’è una bambina di dieci anni che osserva rapita quanto sta accadendo in campo. Accanto a lei siede sua madre, una donna acqua e sapone, discreta, che a partire dal nome, Francoise Rosier, sembra un personaggio uscito da un film di Chabrol. La bambina ha un volto anonimo; a un’occhiata spicciativa si potrebbe scambiarla per un maschietto. Se ne sta sempre zitta, immersa in un mondo tutto suo fatto di punteggi che si intersecano con diritti al fulmicotone, rotazioni velenose, traiettorie che attraversano, tagliano il campo per poi ricucirsi in punti, game, set. La finale femminile della 91esima edizione degli Open di Francia vede fronteggiarsi l’ex no1 del mondo, Steffi Graf; e la nuova regina Monica Seles la belva di Novi Sad, colei che a soli diciannove anni, i con il punteggio di 6-2 3-6 10-8, ottiene il suo terzo titolo consecutivo a Parigi. La bambina, che di nome fa Justine ma la madre la chiama “Juju“, è un po’ delusa, lei tifa per la tedesca. Ma è già il momento della premiazione, Monica Seles solleva al cielo la coppa; e nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe stata la sua ultima volta. È in quel momento che Justine promette alla madre: «Un giorno mi vedrai vincere su questo campo». Chissà, forse qualcuno l’ha sentita pronunciare quelle parole e avrà persino sorriso, ignaro che una semplice frase avrebbe finito con l’ossessionare quella bambina destinata a diventare l’ultima grande regina di Francia.
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