La bellezza salverà il tennis?

«La bellezza salverà il mondo». L’insoluto disaccordo che da oltre cent’anni divide i saggisti nell’interpretare questo passo proveniente dal capolavoro di Fedor Dostoevskij, “L’idiota”, ha ingigantito l’ambiguità in esso celata. Questa misteriosa frase, che appare nel testo originale sotto forma di domanda e non di affermazione, scritta nella lingua del romanziere russo, lo slavo ecclesiastico, ne accresce la doppiezza in quanto il termine “Mir” in russo può significare sia mondo che pace intingendo la parola “krasotà”, bellezza, di un valore che la lega imprescindibilmente al bene, alla bontà.

Il Roland Garros ha incornato per la decima volta Rafael Nadal, il Re Sole, un eroe poliedrico spinto da una commuovente abnegazione, forgiato da un mix di talenti talmente contrastanti da creare intorno alla sua figura una serie di enigmi di cui nemmeno la Sfinge detiene le risposte. Lo spagnolo è il rinato che a Parigi ha oscurato il precedente record di Bjorn Borg per arrivare a battere persino sé stesso, per poi ribattersi ancora, è il guerriero che ha saputo risollevarsi svariate volte da morte certa con l’umiltà che caratterizza i cavalieri valorosi e per questo appare inestimabilmente bello.

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Wimbledon, il crepuscolo degli dei

Roger Federer trionfa a Wimbledon per l’ottava volta e issa l’asticella delle prove del Grande Slam a quota 19. Numeri immensi che possono, seppure solo entro certi limiti, rendere l’idea della portata di questo giocatore immenso, perché Roger Federer, il Re del tennis, il semidio elvetico, l’idolo delle folle, va oltre a qualsiasi numero. Nomini Roger Federer e si apre un mondo calibrato da numeri record che però non bastano per sorreggerlo quel mondo, l’universo Federer, un luogo dipinto dalla sua perfezione stilistica, delineato dalla bellezza del gesto, da un qualcosa di indefinibile che riesce persino a nascondere quella forza, quella pesantezza, quell’atletismo, persino quel pragmatismo, che ne costituiscono l’essenza, la polvere cosmica del talento incarnato, i pilastri della creazione.

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Martina Hingis, l’eletta che non invecchierà mai

Quando Martina Hingis scese sul pianeta terra e si concesse agli sguardi curiosi degli umani aveva undici anni e otto mesi. Correva l’anno 1992 ed era il mese di maggio. Non l’aveva vista quasi nessuno, eppure tutti ne facevano un gran dire. In realtà non è che ci fosse molto da dire. L’undicenne Martina Hingis non si limitò a vincere il Trofeo Bonfiglio, lo dominò, lasciando le sue avversarie invase da quell’indescrivibile disagio che può assalire chi non ha nemmeno avuto il tempo di rendersi conto di quanto sia accaduto, perché dopo trenta, quaranta minuti se la ritrovavano già vicino alla rete, pronta a stringer loro la mano. Semplicemente, Martina Hingis non era di questo mondo.

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Quei crudeli anni ’90

È il 15 giugno del 1974 quando Chris Evert sconfigge Olga Morozova con un netto 6-1 6-2 e conquista il suo primo titolo del Grande Slam sui campi in terra battuta del Roland Garros. L’anno prima la statunitense era stata fermata dalla trentunenne Margaret Smith Court, al suo quinto titolo parigino, nonché penultimo dei suoi 24 Slam. I French Open hanno quindi immortalato un simbolico passaggio di testimone tra la prodigiosa australiana a Chris Evert che, tra il 1973 ed il 1987, ha vinto sette edizioni del Roland Garros, che probabilmente sarebbero state dieci se non avesse disertato per tre anni consecutivi, dal 1976 al 1978, ha disputato tre finali e due semifinali. I due successi consecutivi messi a segno da Steffi Graf, nel 1987 ai danni di Martina Navratilova e nel 1988 umiliando Natalia Zvereva, sembravano presagire un monologo tedesco per gli anni a venire. Fatto che è avvenuto solo in parte e, probabilmente, per forze di causa maggiore. Non solo nel 1989 Steffi Graf ha dovuto cedere il passo ad Arantxa Sanchez Vicario; nelle prime stagioni del nuovo decennio “Miss Grande Slam” ha dovuto letteralmente inchinarsi al cospetto di Monica Seles, la belva di Novi Sad, colei che sarebbe stata, avrebbe dovuto essere, la vera grande dominatrice degli anni 90’.

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La via della natura, la via della grazia

«Ci sono due vie per affrontare la vita: la via della Natura e la via della Grazia. Tu devi scegliere quali delle due seguire». Il sipario di The tree of life si apre con queste parole che, quasi fossero estrapolate da un passo biblico, danno vita ad un’opera molto più vicina ad una tragedia greca, a un elegia, che a un film. Può accadere di estraniarsi, di uscire dal corso del tempo, di essere catturati, rapiti. È possibile lasciare un pezzo del proprio cuore su un campo da tennis. Può succedere, se su quel campo hanno camminato, Serena Williams, Roger Federer Martina Hingis. Ci sono due vie per affrontare il tennis: la via della Natura e la via della Grazia.

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