Maria Sharapova, dalla Siberia all’Olimpo
Il regista Jacques Feyder ha raccontato che durante le riprese di ”Il bacio”, tutte le mattine alle 9, incaricava un assistente di andare a chiamare Greta Garbo e, tutte le volte, una voce alle sue spalle replicava: “Sono qui”. Nessuno riusciva a capire da dove fosse entrata ma lei era sempre lì, puntuale. Seppur dovendosi accontentare di un Oscar alla carriera, tra l’altro mai ritirato, la Garbo è considerata una leggenda e tuttora, a 77 anni dal suo addio alle scene, a 28 dalla sua scomparsa, il suo nome è sinonimo di cinema. Greta Garbo, da ‘svedese errante’ a ‘divina’, una bellezza algida, quasi asessuata, un talento cristallino; virtù che si irradiano in pochissime persone. Maria Sharapova è una di queste, splendide, inaccessibili creature e quando il 9 giugno 2012, dall’alto della sua sublime eleganza si è ritrovata in mano un biglietto di sola andata per entrare nella storia del tennis, puntualmente lo ha riscosso. Ne era consapevole Maria, quando fasciata in un raffinato completino nero si è lasciata cadere in ginocchio sulla terra battuta del Court Philippe Chatrier, mentre con le mani si è coperta il viso, come già aveva fatto in altre tre momenti cruciali della sua carriera; sotto il sole incandescente di Melbourne nel 2008, in una fresca serata newyorkese di fine settembre nel 2006 e il 5 luglio del 2004 quando, appena 17enne, con i suoi colpi devastanti a 105 decibel, ha infranto il silenzio dei sacri campi di Wimbledon.
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