Aria di Fed Cup, le emozioni non mancano mai

«Non ci sono più le finali di Fed Cup di una volta», direbbe qualcuno. Qualcun altro lo sussurra. Non proprio con queste identiche parole, ma il senso è quello. Arrivo all’ingresso del Tennis Club Cagliari e una vispa signora sulla settantina mi invita a uscire, a svoltare a destra, poi nuovamente a destra, di arrampicarmi su una leggera salita, per infine girare per l’ennesima volta a destra, fino a raggiungere la Welcome Area. Una circumnavigazione del Circolo lunga 300 metri, seppur distante in linea d’aria al massimo 50 dall’ingresso. Non molto logico, come forse non lo è che a ritirare l’accredito davanti a me ci sia Matt Cronin; un istrione, un guru.

Mentre esco dal gazebo, in perfetta sincronia il team russo scende dalle auto. Alisa Kleybanova con le cuffie e lo sguardo concentrato, Alexandra Panova un po’ imbronciata, Irina Khromacheva e Margarita Gasparyan felici come solo possono esserlo due ragazzine convocate in una finale di Fed Cup. Insieme a loro le due coach di Fed Cup, Larisa Savchenko, con i suoi quattro titoli slam tra doppio femminile e doppio misto, e Anastasia Myskina, forte del Roland Garros stretto in pugno nel 2004 quando nella prima finale tutta russa di Parigi sconfisse Elena Dementieva. Da un auto scende anche sua Maestà, capitano di Coppa Davis e Fed Cup, nonché Presidente della Federazione Russa, Shamil Tarpischev. E mentre in blocco l’Armata russa si dilegua verso un ingresso laterale mi dico che effettivamente no, «non ci sono più le finali di Fed Cup di una volta».

Arrivo, cerco l’Italia e non la trovo. Hanno già finito. Reportage rimandato a domani, mi dico. In realtà Karin Knapp e Sara Errani tornano in campo un paio di orette più tardi, a testare il centrale. Dire che la struttura è bella sarebbe farle uno sgarbo. Lo è di più. Snella e possente insieme. Ma in verità è tutto squisitamente piacevole, ordinato, cordiale. A partire dall’aria che odora di cipresso, di salvia e di un aroma che a me ricorda la lavanda. Mi dileguo verso il team russo.

Se digitate il nome di Alisa Kleybanova su un motore di ricerca troverete svariate fotografie in cui sorride. Io non l’ho vista lasciarsi andare nemmeno a un accenno. Dopo elastici e un po’ di atletica è possibile appurare che, tra le quattro, è quella che ha la palla più pesante. Non era arrivata n.20 del ranking WTA per caso. Poi ci si è messo il Linfoma di Hodgkin ad intralciarle il cammino. Vedendola allenarsi però, riesce più facile capire come abbia fatto a sconfiggerlo. Svetlana Kuznetosova l’ha descritta come una ragazza fuori dalla norma. Sinceramente mi riesce difficile visualizzare quale possa essere la norma per lei, ma sì, Alisa Kleybanova non è come le altre, come nessuna delle altre. Lei ha vinto davvero una battaglia, una battaglia vera. E c’è qualcosa, anche se non saprei dire bene cosa, che lo testimonia. E all’improvviso mi dimentico del fatto che «non ci sono più le finali di Fed Cup di una volta»; e provo un pizzico di commozione nel capire come a volte possa essere indicibilmente bello non essere in grado di trovare le parole adatte per descrivere una persona.

Mentre Alisa Kleybanova si allena insieme ad Alexandra Panova, che se nei match ufficiali giocasse con il braccio sciolto come quando in palio non c’é nulla, sarebbe una gran brutta cliente; la diciottenne Irina Khromacheva e Margarita Gasparyan vengono spremute in quella che è a tutti gli effetti una seduta di practice. Mentre la Savchenko le sfinisce a suon di esercizi, consigli, rimproveri, altri esercizi, consigli e così via, per due ore; un signore vicino a me decreta convinto che la Khromacheva è il futuro. Un bambino sugli otto anni non si lascia andare a pronostici ma per un’ora non stacca gli occhi di dosso da Margherita: tra tutte, tutte, ma proprio tutte, è quella che gli piace di più; confida.

A queste due ragazzine non par vero di firmare autografi e quando si ritrovano sotto al naso una bandiera russa sono talmente spiazzate da non sapere dove scrivere i loro nomi: sul rosso? sul blu? sul bianco? Ad una pausa il bambino se ne va felice con la sua firma, il signore con la sua convinzione che Irina sia il futuro e io mi chiedo se dodici anni fa avrà visto una russa non ancora sedicenne vincere proprio sui campi del TC Cagliari il primo 10.000$ della sua carriera. Mi chiedo se anche allora si sarà lasciato andare in pronostici tanto ottimistici. Perché quella russa tre anni dopo avrebbe conquistato l’US Open e risponde al nome di Svetlana Kuznetsova.