A Hidden Life, il sacrificio del giusto




«È meglio subirla un’ingiustizia che compierla» potrebbe essere l’epigrafe che riassume la vita di Franz Jägerstätter, un contadino austriaco di fede cattolica, la cui pace, resa ancora più alta e profonda al tempo stesso dalla moglie Fani, dalle tre figliolette, dalla lettura di testi sacri e dal rassicurante borgo di Sankt Radegund, un Eden immerso nell’assoluto emotivo che è un tutt’uno con le montagne dell’Alta Austria, viene sgretolata nel momento in cui il nazismo prende piede. “A Hidden Life”, è la storia di un uomo che Terrence Malick trasforma in eroe-martire – proclamato beato nel 2007 sotto il pontificato di Benedetto XVI – un uomo giusto, irremovibile, incorruttibile, portatore di un senso di una giustizia universale che antepone persino alla propria vita.

Terrence Malick si sofferma sulla vita bucolica di Franz, una vita scandita dalle stagioni, dal rintocco delle campane, dall’amore per i propri affetti. Una vita senza ombre eccetto quelle provocate dal sorgere e il tramontare del sole. Almeno fino a quando non si insinua l’ombra del regime. Franz Jägerstätter è il solo del paese a votare contro l’Anschluss, a non salutare i paesani con il braccio teso, a rispondere alla chiamata al fronte con il rifiuto di pronunciare il giuramento al Führer. 

Franz Jägerstätter – interpretato da August Diehl – diviene così un disertore, un traditore. Malick lo rende invece un uomo di una fermezza limpida, ancorato a quella dimensione spirituale che lo lega indissolubilmente alla moglie, una figura al suo pari straordinaria a cui da il volto Valerie Pachner, che innesca un flusso di coscienza capace di fondersi con la narrazione al punto da dar vita a una pellicola sul martirio, lontana da qualsiasi trappola politica. Semplicemente la guerra, quella guerra, non è la sua guerra.

Franz Jägerstätter condanna il nazismo perché contrario alle leggi di Dio. Perché la scintilla di Dio nascosta nel suo essere umano genera vita, non morte. La grandezza di Malick va oltre al suo stile inconfondibile opponendosi a sua volta a qualsiasi luogo comune, restando fedele all’essenza di un uomo, un martire giustiziato il 9 agosto del 1943 senza aver mai combattuto, nemmeno il nazismo stesso, senza aver mai alzato la voce, senza aver mai tentato di far cambiare opinione a nessuno. La voce di Franz sono le lettere che spedisce alla moglie – raccolte dalla teologa austriaca Erna Putz -, passaggi in cui si delinea lo spessore del sacrificio, quello vero, illuminato, perché la sua morte non pone certo fine all’orrore della guerra, non impedirà il compiersi di altre malvagità. 

L’ostinato silenzio di Franz si esprime con la poetica struggente di Malick, il quale spinge a chiedersi il motivo di tanta testardaggine, il perché non si pieghi, perché non sia disposto a giurare fedeltà almeno per non privare le figlie del padre, la moglie del marito. In fondo basterebbe tanto poco e tutti, persino le autorità naziste sarebbero disposte a cancellare insubordinazione, a far crollare tutte le accuse. Eppure in quel silenzio senza perché, nel momento in cui deve decidere tra la vita e il sacrificio,  Franz pone alla moglie una domanda semplicissima e tremenda: «Tu lo capisci?». La risposta  è altrettanto terrificante: «Ti amo, qualsiasi cosa tu faccia. Qualsiasi cosa accadrà io sono con te, sempre. Fa ciò che è giusto». Bastano queste parole per dare a tutto un senso che va ben oltre al mistero della fede. Perché forse per essere veramente libera, una vita deve nascondere l’essenza che la muove, donandola solo a chi si ama.