L’anima spietata di Krzysztof Kieslowski

«Mia madre fu una delle ragioni per cui decisi di diventare un regista. Dopo aver sostenuto per la seconda volta l’esame di ammissione per la Scuola di Cinema di Lòdz, tornai a Varsavia e mi accordai con mia madre di incontrarla vicino alla scala mobile di Piazza Castello. Pioveva a dirotto e lei mi aspettava in piedi, tutta bagnata. Era dispiaciuta che non fossi riuscito ad entrare in quella scuola per la seconda volta. “Guarda, forse non ci sei proprio tagliato”, mi disse. Non so se stesse piangendo o se fosse la pioggia ma ero affranto che si sentisse tanto triste. Fu allora che decisi che l’anno dopo sarei entrato in quella scuola e che sarei diventato un regista. Semplicemente perché mia madre era così terribilmente triste». Parte da questo episodio di vita la carriera di regista di Krzysztof Kieslowski nel cui cinema le emozioni sfociano, spesso dirompenti, ambigue, sottili e, proprio per questo, laceranti, mentre il suo sguardo si mantiene rigido, impietoso, anche e soprattutto quando i suoi personaggi si ritrovano al cospetto di quel bivio che li induce a dover compiere una scelta che influenzerà irrimediabilmente la loro vita. 

Krzysztof Kieslowski nasce il 27 giugno del 1941 a Varsavia. A causa della malattia del padre, un ingegnere civile malato di tubercolosi, la famiglia Kislowski è costretta a seguirlo, da un sanatorio all’altro del paese. Siccome la madre non riesce a mantenere Krzysztof e la figlia minore con il semplice stipendio da impiegata, i due bambini sono costretti a vivere per lo più in colonie permanenti, dislocate in piccoli paesini sulle montagne della bassa Slevia. Sarà in una di queste cittadine, Sokolowsko, che un Kieslowski adolescente inizia a spiare gli spettacoli di cinema itinerante dai tetti della locale Casa della Cultura.  

Inizialmente intenzionato a diventare un vigile del fuoco, da lì a poco opta per la Scuola Superiore per le Tecniche Teatrali, gestita tra l’altro dallo zio che riesce ad esentarlo dal pagamento della retta. Orfano di padre, con in mano un diploma in realizzazione di scenari, Krzysztof Kieslowski entra alla Scuola di Cinema di Lodz al terzo tentativo per lì laurearsi nel 1969. Ad ogni modo, il suo esordio alla regia avviene nel 1966, nel pieno della frequentazione scolastica, con un cortometraggio di 5 minuti dal titolo “Tramwaj” la cui trama propone un ragazzo che notata una ragazza su un tram che si allontana decide di rincorrere il mezzo e salire a bordo, salvo scendere dopo pochi km e decidere di rincorrerlo di nuovo. Sarà il punto di partenza di una gavetta lunga una ventina d’anni durante i quali realizza ventitré opere – tra cui lo splendido saggio scolastico “Dalla città di Lodz” -, molte della quali gli procureranno i primi problemi con le autorità; basti pensare che il documentario “Lavoratori 1971: Niente su di noi senza noi” basato sulla repressione violenta dello sciopero di Danzica, venne requisito dalla polizia che voleva identificare i partecipanti; mentre durante le riprese di “La stazione” la polizia gli sequestrò di nuovo la pellicola perché aveva ripreso una valigia contenente i resti di una donna fatta a pezzi dalla figlia che la polizia stava ricercando da tempo. 

Nel turbinio di questi intensissimi anni, da vita anche a tre film per la TV, ossia “Il personale”, “La tranquillità” e “Una breve giornata di lavoro”; e a due lungometraggi: “La cicatrice” nel 1976 e “Il cineamatore”, datato 1979 ed in cui già evapora il talento di Kieslowski attraverso la storia di un impiegato che acquista una macchina da presa per filmare la nascita della sua bambina, ma che finirà per essere risucchiato da un demone della pellicola da perdere tanto l’innocenza creativa a favore della politica, che la famiglia. 

Altrettanto interessante si rivelerà “Destino cieco”, conosciuto anche con il titolo alternativo “Il caso”; il cui plot è articolato in tre storie differenti che si susseguono in maniera lineare, presentando tre ipotetiche vite del protagonista Witek, tutte generate da un fortuito incidente in una stazione ferroviaria. Terminato nel 1981 ma libero dalla censura polacca solo sei anni dopo per essere presentato al Festival di Cannes del 1987 nella sezione Un Certain Regard. Risale invece al 1985 l’ancora più potente “Senza fine”; pellicola che da voce a un avvocato morto d’infarto, il cui spirito continua ad osservare, senza essere visto, quanto ha lasciato: la moglie e traduttrice Ursula, il figlio Jacek, l’operaio Darek, da lui difeso in una causa politica. Alla sua uscita “Senza fine fu attaccato dalla Chiesa cattolica per motivi etici, dal Partito e dall’opposizione per ragioni politiche; ma oltre a essere indiscutibilmente una gemma preziosa, si è rivelato basilare per la crescita professionale di Krzysztof Kieslowski in quanto diede il via al sodalizio con l’avvocato Krzysztof Piesiewicz alla sceneggiatura e con Zbigniew Preisner come compositore. 

Nel 1988 Krzysztof Kieslowski realizza un progetto monumentale “Decalogo”. Composto da dieci episodi, indipendenti l’uno dall’altro, ognuno di essi racconta volta per volta una vicenda ispirata ai dieci comandamenti biblici e presenta un cast differente, seppure in tutti, con l’eccezione del 7 e del 10, è presente la figura del “testimone silenzioso“, un personaggio che sotto diverse spoglie, assiste muto alle crisi laceranti dei personaggi. Incapace, o semplicemente non autorizzato, a intervenire nel corso degli eventi, il personaggio interpretato da Arthur Barcis sembra però raggiungere l’anima delle cose, quasi custodisse nel suo sguardo la risposta capace di dare un senso alla tragedia della vita, o forse, chissà, a suggerire che l’assenza di risposte sia la prova che l’errore è nel porsi domande che non hanno un perché. 

Divenuto un autore di riferimento, nel 1991 Krzysztof Kieslowski incanta le sale di tutto il mondo con “La doppia vita di Veronica”. Protagonista assoluta della pellicola è Irene Jacob, impegnata nel doppio ruolo di Weronica e Veronique le quali, una a Lodz e l’altra a Clermont-Ferrand vivono la stessa vita, accumunate dalle stesse sembianze e sensibilità. Unite dalla passione per la musica, in Weronica di Lodz avviene un corto circuito nell’attimo in cui incontra accidentalmente il proprio doppio. Tradita da una malattia cardiaca, quando Weronika muore, accade qualcosa nella vita di Véronique: si sente divorare da un’improvvisa angoscia, quasi si fosse rimasta sola al mondo.

Kieslowski e Juliette Binoche durante la lavorazione di “Film Blu”

A chiudere prematuramente la straordinaria carriera del regista polacco è stata la Trilogia dei colori ossia “Film Blu”, “Film Bianco” e “Film Rosso”; dedicati ai tre colori della bandiera francese e di conseguenza al motto della rivoluzione, “Liberté, Ègalité e Fraternité”. In tutte e tre le pellicole l’amore si erge come una necessità, l’unica forza in grado di custodire una speranza di salvezza, la sola virtù che può sopravvivere al dolore, forse persino al tempo stesso. 

Film Blu” – nel quale spacca il talento di Juliette Binoche, ma altrettanto meravigliosa è Emanuelle Riva nel ruolo della madre della protagonista – parla della libertà, dell’imperfezione della libertà umana. Nell’istante in cui il marito e la figlia trovano la morte in un incidente stradale; July decide di iniziare una nuova vita e di liberarsi completamente di ciò che è stato evitando di andare al cimitero, bruciando ogni traccia del proprio passato. Eppure vivrà sulla propria pelle quanto illusorio possa essere il suo tentativo perché è possibile liberarsi di tutto, tranne che di sé stessi, tranne che dei ricordi. 

Film Bianco” affronta invece il tema dell’uguaglianza e narra la storia di un parrucchiere polacco – che ha il volto di Zbigniew Zamachowski – sposato con una donna francese – interpretata da July Delpy -; non fosse che, dopo appena sei mesi il matrimonio è fallito a causa dell’impotenza di lui. Umiliato, l’uomo decide di ritornare in Patria con lo scopo di vendicarsi dell’ingiustizia subita, ma insieme alla sua scalata sociale, si fa largo la destabilizzante evidenza di come, l’utopica uguaglianza tra due esseri umani che parlano lingue differenti, altro non sia che la proiezione dell’eterno conflitto tra est ed ovest del dopo muro di Berlino. Certo è che Karol si arricchisce ricorrendo a pratiche disoneste, così come è tramite l’annullamento di sé, fingendosi morto, che riuscirà a riconquistare la moglie, non senza però aver fatto sì che risultasse autrice di un omicidio che non è mai avvenuto.

Film Rosso”, infine, intreccia le esistenze di una modella di nome Valentine – Irene Jacob – e di un giudice in pensione – Jean-Louis Trintignant -. Vi è poi un terzo personaggio, Auguste, il quale potrebbe essere una proiezione del giudice, nell’eventualità non incontrasse Valentine. Le domande fondamentali del film sono se sia possibile rimediare ad un errore che è stato commesso in passato e se a volte le persone non nascano nel periodo sbagliato.

Kieslowski con i protagonisti di “Film Rosso”, Jean-Louis Trintignant e Irene Jacob

Avrebbe desiderato dar vita a una trilogia su “La divina commedia” di Dante Alighieri – l’unica delle tre sceneggiature ad essere completata da Kieślowski e Piesiewicz “Heaven” è stata portata sullo schermo da Tom Tykwer, mentre il film scritto da Piesiewicz “L’enfer” venne diretto da Danis Tanovic -; ma non ha fatto in tempo a firmare il suo ennesimo capolavoro. Il 13 marzo del 1996, a Varsavia, alle 11 di mattina in seguito a un attacco di cuore durante un’operazione a cuore aperto, Krzysztof Kieslowski si è spento. Ad occuparsi del monumento funebre che sovrasta la sua tomba è stato lo scultore Krzysztof Bednarski.

Figure fragili gravate e impreziosite dal dono del libero arbitrio ma allo stesso tempo succubi di un destino indecifrabile, che pare essere retto, osservato e influenzato da un misterioso quanto sadico burattinaio. Prima ancora che attraverso le azioni, le storie del grande regista polacco si svolgono nel cuore dei suoi personaggi e la precarietà che caratterizza l’esistenza può essere considerata lo sfondo ricorrente dentro cui s’intrecciano le vicende di questi uomini e donne prigionieri del loro istinto quanto della loro coscienza, perennemente divisi tra un desiderio di fede e l’assolutezza della ragione, inclini alla purezza ma tentati dal peccato. Sono nascoste sotto metri di sabbia e sparse in un deserto dalle proporzioni sconfinate le risposte a cui gli spettatori tendono, invano. Anzi, è quando si ha la sensazione di essere vicini ad afferrare una risposta, sia essa spirituale quanto concreta, che all’improvviso ci si ritrova ancora più smarriti.

La crudeltà dei film di Kieslowski è resa ancora più cinica dal fatto che, in alcuni frangenti è tale la portata di dolore nelle sue vicende che sembra davvero che una folata di vento abbia sollevato una tempesta di sabbia e che essa sia in procinto di colpirti in pieno viso. Ti ritrovi così, incapace di vedere bene quello che accade intorno a te ma allo stesso tempo deciso a tenere ben aperti gli occhi. E mentre capita tutto questo stai piangendo, senza sapere nemmeno tu se lo fai per colpa della sabbia o perché ciò che hai appena visto ha toccato corde troppo profonde e sconosciute.

One comment

  1. giovannicollicelli

    La Trilogia è un capolavoro, il mio favorito è film blu, credo che sia una delle migliori interpretazioni della Binoche insieme a ” Les amants du pont neuf “

Comments are closed.