Monica Seles, la belva di Novi Sad

«Quello che la rendeva speciale era l’impegno che ci metteva. Aveva dodici anni eppure sembrava non conoscere la fatica, era capace di provare lo stesso colpo per ore, sempre con la stessa concentrazione. E questo non per un giorno, non per una settimana, ma per un mese, per mesi se ce n’era bisogno». Parola di Nick Bollettieri. Quella dodicenne due volte bimane, mancina di nascita, che aggrediva ogni pallina con uno stile tutto suo, avulso da qualsiasi canone, che con ferocia urlava, quasi grugnendo, a ogni impatto. È Monica Seles.

Continue reading “Monica Seles, la belva di Novi Sad”

Ivan Lendl e l’insostenibile ricerca della perfezione

La leggenda vuole che Olga Lendlova, ex tennista professionista diventata maestra, andasse tutti i giorni in campo insieme al figlio di tre anni e che, per evitare un’eventuale smarrimento, fosse solita legarlo a un paletto della rete. «Ubbidienza» e «Disciplina», sono le prime parole che quel bambino, Ivan Lendl associa al tennis. Prigioniero del tennis e della sua predestinazione, Ivan ha intrapreso il suo cammino mantenendosi coerente con e nelle proprie ossessioni: vincere e diventare il migliore tennista del mondo. Non si è mai permesso di sognare, nella sua vita c’è sempre stato posto solo per il duro lavoro, unico complice capace di sostenerlo affinché potesse raggiungere una schiera di obiettivi, sempre più numerosi, sempre più elevati.

Continue reading “Ivan Lendl e l’insostenibile ricerca della perfezione”

Andre Agassi, tra zone d’ombra e di luce

«Ho sette anni e sto parlando da solo perché ho paura e perché sono l’unico che mi sta a sentire. Sussurro sottovoce: lascia perdere, Andre, arrenditi. Posa la racchetta ed esci da questo campo. Non sarebbe magnifico? Semplicemente lasciar perdere? Non giocare a tennis mai più? Ma non posso». Quando rievoca questi pensieri, quel bambino nato a Las Vegas il 29 aprile del 1970, è ormai diventato un uomo e si sta raccontando a milioni di persone. La sua non è una storia, è un’epopea intrecciata con le sue radici, che parte dal padre, Emmanuel Agassian, un cittadino iraniano di origini armene e assire che, dopo aver gareggiato come pugile alle Olimpiadi del 1948 e del 1952 per il suo paese natale, decide di trasferirsi a Las Vegas, ed ottenuta la cittadinanza americana cambia il proprio nome in Mike Agassi, mette su famiglia con una certa Elizabeth Dudley ed inizia a lavorare in un megaresort di proprietà del miliardario Kirk Kerkoiran, con cui stringerà una amicizia tale da dare all’ultimo dei suoi quattro figli proprio “Kirk” come secondo nome. Il primo nome era Andre. E sarebbe diventato Andre Agassi.

Continue reading “Andre Agassi, tra zone d’ombra e di luce”

Kim Clijsters, il cuore fiammingo

New York. 29 agosto 2012. Arthur Ashe Stadium. Sono le 18.36, ore locali, quando Kim Clijsters risponde di rovescio a una prima in slice di Laura Robson. La pallina le è appena partita dal piatto corde ma la Clijsters sa già che è destinata ad oltrepassare la riga di fondo. Per questo non tenta nemmeno di rientrare al centro, ma abbassa lo sguardo per una frazione di secondo per poi levarsi la visiera e avviarsi verso la rete, mentre la Robson si porta le mani alla testa, quasi stentasse a credere che la pallina le sia davvero sfilata alle spalle. Nel frattempo Kim è già arrivata alla rete e Laura Robson deve accelerare il passo per raggiungerla, per abbracciare quella donna che ha scritto alcune tra le più belle pagine di questo sport negli ultimi tredici. Mentre la regia televisiva propone il replay di quello che è appena diventato l’ultimo colpo ufficiale della carriera di Kim Clijsters, l’ex numero uno del mondo che non perdeva un match all’US Open dal 2003, indossa la giacca della tuta, si siede e compie un gesto per lei insolito: lascia scorrere, lentamente, le mani tra i capelli, per poi intrecciare le dita dietro alla testa e rimanere alcuni interminabili secondi con lo sguardo fisso nel vuoto, davanti a sé. In contrasto con l’incontenibile gioia della Robson, alle spalle di Kim Clijsters si posizionano sull’attenti tre raccattapalle, l’espressione seria in volto, quasi avessero colto la ‘gravità’ del momento. Kim Clijsters continua a guardare qualcosa, forse senza vederlo, senza sentire il pubblico che spiazzato dall’epilogo, la chiama per nome, fischia, rumoreggia sugli spalti. E poi c’è una folla sbigottita, accalcata sotto al maxischermo posto fuori dallo stadio; e gli organizzatori che mai si sarebbero aspettati che la n.89 del mondo battesse Kim Clijsters e che, solo per questo spiegheranno, non avevano programmato il match nella sessione serale. Il tutto mentre Kim Clijsters fissa un vuoto all’interno del quale solo lei riesce a scorgere qualcosa. Un vuoto fatto forse di frammenti provenienti da un passato solo suo, da un presente solo suo, in attesa di un futuro lontano da quel ‘catino’, dove aveva il pubblico dalla sua parte persino se affrontava delle giocatrici di casa.

Continue reading “Kim Clijsters, il cuore fiammingo”

Justine Henin, la regina che non sapeva farsi amare

6 giugno 1992. Sulle tribune del Philippe Chatrier c’è una bambina di dieci anni che osserva rapita quanto sta accadendo in campo. Accanto a lei siede sua madre, una donna acqua e sapone, discreta, che a partire dal nome, Francoise Rosier, sembra un personaggio uscito da un film di Chabrol. La bambina ha un volto anonimo; a un’occhiata spicciativa si potrebbe scambiarla per un maschietto. Se ne sta sempre zitta, immersa in un mondo tutto suo fatto di punteggi che si intersecano con diritti al fulmicotone, rotazioni velenose, traiettorie che attraversano, tagliano il campo per poi ricucirsi in punti, game, set. La finale femminile della 91esima edizione degli Open di Francia vede fronteggiarsi l’ex no1 del mondo, Steffi Graf; e la nuova regina Monica Seles la belva di Novi Sad, colei che a soli diciannove anni, i con il punteggio di 6-2 3-6 10-8, ottiene il suo terzo titolo consecutivo a Parigi. La bambina, che di nome fa Justine ma la madre la chiama “Juju“, è un po’ delusa, lei tifa per la tedesca. Ma è già il momento della premiazione, Monica Seles solleva al cielo la coppa; e nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe stata la sua ultima volta. È in quel momento che Justine promette alla madre: «Un giorno mi vedrai vincere su questo campo». Chissà, forse qualcuno l’ha sentita pronunciare quelle parole e avrà persino sorriso, ignaro che una semplice frase avrebbe finito con l’ossessionare quella bambina destinata a diventare l’ultima grande regina di Francia.

Continue reading “Justine Henin, la regina che non sapeva farsi amare”

Dinara Safina, l’eterno enigma

Lui, Marat: ex n.1 del mondo, vincitore di 15 titoli ATP tra cui due prove del Grande Slam, un Caligola moderno, talento e sregolatezza fuse insieme, la faccia da mascalzone, uno che «paga le donne per farle andare via dal suo letto». Lei, Dinara, ex capobanda del ranking, 12 titoli WTA nonché tre finali slam, tutte perse, oltre a un argento alle Olimpiadi di Pechino, il braccio messo a servizio di un tennis monocorde, il volto sempre un po’ incupito, tanto carattere condito da un pizzico di timidezza.  Marat, che da bravo e protettivo fratello maggiore, dall’alto del suo scranno profetizza: «tra pochi anni sarà Dinara quella con più trofei in famiglia». Presunzione e vanità pronte a mettersi da parte in funzione di lei sola, Dinara, per la quale nutre un affetto per certi versi affine a quello che Caligola provava per la sorella Drusilla, al punto che quando morì appena ventenne, l’imperatore ne decretò il culto, divinizzandola come Diva Giulia. Dinara, succube ed anche un po’ ammaliata dalla venerazione che in tanti riservano al fratello, una devozione tale da farla sentire «meno di lui» anche quando in vetta alle classifiche c’é lei, quando del grande Marat era rimasto poco o nulla. Perché mentre Marat Safin è stato adorato o disprezzato, ma in ogni caso il suo ricordo evoca tinte forte, sapori insopportabilmente amari o dolci, Dinara Safina è stata vissuta da tutti en passant, e per questo rimarrà incastrata per l’eternità tra l’essere la sorella di un personaggio che ha superato il tennista e l’essere stata una regina senza corona, una numero uno senza slam.

Continue reading “Dinara Safina, l’eterno enigma”

Le fatiche di Thomas Muster, Ercole moderno

Un ragazzo di ventidue anni i cui occhi lo fanno già sembrare un uomo, seduto su una strana panca, la gamba sinistra ingessata, concentrato a rimandare centinaia, migliaia di diritti e rovesci su un campo da tennis. È forse questa l’immagine che più di ogni altra evoca la figura di Thomas Muster, una sorta di Eracle moderno; Ercole per i romani, che anziché destreggiarsi nelle dodici fatiche per quattordici anni della sua vita ha sgobbato sui campi da tennis di tutto il mondo, che invece di affrontare serpenti dalle molteplici teste, leoni e uccelli dalle piume affilate come lame ha sfidato campioni del calibro di Ivan Lendl, John McEnroe, Jimmy Connors, Boris Becker, Stefan Edberg, Mats Wilander, Sergi Bruguera, Michael Chang, Pete Sampras, Jim Courier e Andre Agassi.

Continue reading “Le fatiche di Thomas Muster, Ercole moderno”

Nicola Pietrangeli, Radnaja

Un noto graffito disegnato a Monaco di Baviera recita: «Il tuo Cristo è ebreo e la tua democrazia è greca. La tua scrittura è latina e i tuoi numeri sono arabi. La tua auto è giapponese e il tuo caffè è brasiliano. Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è coreano. La tua pizza è italiana e la tua camicia è hawaiana. Le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine. Cittadino del mondo non rimproverare il tuo vicino di essere… Straniero». È in un appartamento del quartiere arabo di Tunisi che l’11 settembre del 1933 nasce Nicola Pietrangeli. Il padre Giulio, seppur nato in Tunisia, era figlio di un abruzzese e di una napoletana emigrati in Nord Africa. La mamma, la bellissima Anne De Yorgainge, era di padre danese e madre russa: si narra che tutta la famiglia sia sfuggita al regime sovietico per puro miracolo, dato che a quei tempi in Russia essere ricchi era tutt’altro che una fortuna. Apprezzato imprenditore edile, Giulio Pietrangeli ha reso possibili diverse strade cittadine e, prima di lui suo padre, introdusse la prima linea ferroviaria a Tunisi. Dell’educazione di Nicola si è occupata la madre. «Radnaja» era solita chiamarlo, un’espressione che in russo assume il significato di «carissimo», ma in modo marcatamente intimo. Quando era bambino i pomeriggi di Nicola erano caratterizzati da ore ed ore spese a tirar calci al pallone nel cortile del palazzo di Rue Lafayette, insieme al suo migliore amico, Pierre Darmon. Ancora non sanno che il destino avrebbe condotto entrambi su un campo da tennis e, come tutte le storie che si rispettino, così come Nicola sarà il talentuoso, Pierre sarà il pragmatico; ostico al punto tale da incutere in Pietrangeli quello che verrà ribattezzato il «complesso Darmon». D’altronde si sa che nel tennis la concretezza ha spesso ragione sulla fantasia.

Continue reading “Nicola Pietrangeli, Radnaja”

John McEnroe, Il braccio sinistro di Dio

«Sul campo da tennis sei solo. Mi chiedono perché mi arrabbio così tanto: la solitudine in campo è una delle ragioni principali. Sentirmi solo, allo sbaraglio. A volte mi chiedo come tutto questo sia potuto accadere. Credo di essere stato spinto verso una carriera che non desideravo affatto. Ovviamente per me il tennis si è rivelato un’avventura incredibile, ma la verità è che non cercai questa carriera fino a quando non fu il tennis a cercare me. Molti atleti amano il loro sport con tutto il cuore. Non credo di aver mai provato un sentimento simile nei confronti del tennis. Non vedevo l’ora di giocare, ma la partita in se’ era una costante battaglia contro due avversari: l’altro giocatore e me stesso». John McEnroe, il braccio sinistro di Dio, il mancino dotato di un talento fuori quotazione che ha rivoluzionato, deliziato, sconvolto l’impettito mondo del tennis; il ribelle che non si è mai vergognato di urlare la propria rabbia in faccia agli arbitri, di disprezzare gli avversari, di insultare il pubblico; ma anche colui che ha portato la magia dentro un campo da tennis, l’uomo che più di ogni altro è stato associato al tennis, che era il tennis e che ha lasciato un vuoto incolmabile nel nome di quella geniale e irripetibile contraddizione quale era lui, nella sua essenza, nel suo essere John McEnroe.

Continue reading “John McEnroe, Il braccio sinistro di Dio”

L’Odissea di Jennifer delle meraviglia

«Ci sono molte analogie nelle nostre vite anche se tu  hai vinto molto più di me. Abbiamo affrontato sfide dure; sia in campo che fuori. Siamo arrivate ai vertici dovendo gestire grandissime pressioni e aspettative, non una ma due volte. Non solo siamo diventate delle campionesse, ma credo che abbiamo avuto una parte fondamentale nel trasformare il tennis in quello che è oggi. Abbiamo lottato duro l’una contro l’altra, ma guarda dove siamo adesso. Nelle nostre vite di tenniste si è chiuso un cerchio però siamo di nuovo insieme con un enorme rispetto, ognuna accanto all’altra, anche adesso che è tutto finito». È il 14 luglio 2012 e, nel giorno del suo “insediamento” nella International Tennis Hall of Fame, le prime parole che pronuncia Jennifer Capriati sono rivolte alla donna che l’ha invitata poco prima a salire sul palco, alla campionessa insieme a cui ha diviso e condiviso una ventina d’anni di tennis, tra esordi, ritiri e ritorni: Monica Seles. Dal primo match che le vide opposte, la semifinale del Roland Garros 1990, quando Jennifer aveva da poco compiuto quattordici anni e Monica Seles, che ne aveva solamente tre in più, la sconfisse 6-2 6-2; per passare al luglio del 1991  quando a San Diego la statunitense vinse il suo secondo titolo WTA battendo per la prima volta la belva di Novi Sad 7-6 al terzo; per soffermarsi al settembre dello stesso anno, alla semifinale dell’US Open quando ci volle un altro 7-6 nel set decisivo per decretare la finalista, e quella volta fu Monica a spuntarla; e poi via, via a contendersi tornei e posti al sole, fino all’ultimo match ufficiale, in quella semifinale di Miami del 2002, quando nemmeno a dirlo fu sempre un 7-6 al terzo a decidere la sorte del match, dando ragione a Jennifer.

Continue reading “L’Odissea di Jennifer delle meraviglia”