Une liaison pornographique, ma pornografico è un sentimento

«Era solo una relazione pornografica. Era solo sesso, una fantasia che avevamo bisogno di soddisfare». Lo chiariscono entrambi, sin dai primi minuti, i protagonisti di Une liaison pornographique, quando viene proposta una intervista in parallelo, anni dopo essersi consumato il tutto, davanti a una telecamera azionata da non si sa chi e per quale pro, così come mai si scoprirà quale sia quella fantasia che li spinge l’uno a pubblicare un annuncio con tutti i dettagli del caso e l’altra a sfogliare una rivista a luci rosse, alla ricerca di un qualcuno disposto a mettersi in gioco, di praticare quel desiderio inconfessabile.

I due si incontrano in un caffè e dalla poche battute si campisce che, per quanto ironici, non sono due esibizionisti: lei, interpretata da Nathalie Baye, ha forse dieci-quindici anni più di lui, il cui volto è legato alle fattezze di Sergi Lopez. Poche chiacchiere e si dirigono in un hotel dove la telecamera li segue dalla reception su per le scale, lungo il corridoio, per infine fermarsi davanti alla porta  della camera.

Insieme alla macchina da presa rimane fuori anche lo spettatore e tutto il voyeurismo che ne consegue, tra l’altro legittimo dato l’incipit che il film pare suggerire. Presupposto però ben presto smentito perché forse più che di una fantasia pornografica da soddisfare i due protagonisti hanno bisogno di una vera intimità, senza filtri, di una complicità in cui non c’è posto per i giudizi e la vergogna. D’altronde il titolo originale rappresenta già un indizio: esiste forse un film hard-core con la parola “pornografico” nel titolo? No.

Non c’è da stupirsi se la mancanza di perspicacia, unita all’incapacità di lettura dei sotto-testi da parte di chi deve affibbiare un titolo convincente in lingua italiana, abbia ridicolizzato il tutto con Una Relazione Privata. È invece degna di nota, e merita un plauso, la bravura del regista, il belga appena trentenne al tempo delle riprese, Frédéric Fonteyne, la quale risalta nel messaggio che si dispiega nell’arco di 80, pudici, minuti: quel che al giorno d’oggi è ormai veramente pornografico non è il torbido che si sbriga sotto alle lenzuola bensì l’esatto contrario: l’amore. Perché ormai è più semplice, sbrigativo, confessare una perversione di un sentimento.

Pare che la fonte d’ispirazione di Fonteyne sia stato un rapporto profondamente in crisi, all’epoca. Da qui la necessità di scavarsi dentro, di scrivere una storia sull’amore, apparentemente all’incontrario, una vicenda tra le cui pieghe, al di là di un titolo fuorviante in quanto semplicemente provocatorio, si celassero le problematiche che tendono a minacciare, a incrinare un qualsiasi rapporto, come la difficoltà di aprirsi a un’altra persona, di conoscersi e accettarsi fino in fondo.

Perché il problema dei due protagonisti, personaggi senza nome né  identità, affiora nel momento in cui quella fantasia soddisfatta diventa qualcosa di più. Quando si innamorano. E l’amore comporta conoscenza, accettazione, consapevolezza dell’altro e, ancor di più di sé stessi, così come di quell’oscuro scrigno di possibilità incontrollabili che è la vita, che tanto può dare e altrettanto può togliere, senza preavviso, senza alcuna complicità umana.

La chiave di volta, o anticipazione, del film è forse rappresentata dalla morte di un uomo, nello stesso albergo, che poco prima di spirare li supplica di non chiamare la moglie, perché «non la sopporto più»; mentre quella donna deve per forza di cose essere avvisata e, ignara e tenuta all’oscuro del pensiero del defunto consorte, confida di aver sempre vissuto in funzione di lui e infatti, pochi giorni dopo si suicida.

Ed ecco che nel cuore dei due anonimi protagonisti si insinua la paura del non detto, di quel qualcosa che forse è persino impossibile da tramutare in parole, perché il tempo che tutto macina e corrode è forse il killer silenzioso dell’amore, destinato com’é a creare fraintendimenti, noia, rancori, delusioni. Per questo i due protagonisti preferiscono salutarsi. Scelgono la nostalgia e quel rimpianto tanto caro a Dostoevskij in quanto: è il solo stato d’animo capace di attribuire un valore a ciò che ormai è andato perduto.

Titolo: Una relazione privata – Une liaison pornographique 

Paese: Belgio

Anno: 1999

Regia: Frédéric Fonteyne

Soggetto: Frédéric Fonteyne

Sceneggiatura: Philippe Blasband

Casa di produzione: Artémis Productions

Fotografia: Virginie Saint-Martin

Montaggio: Chantal Hymans

Costumi: Anne Schotte

Musiche: André Dziezuk

Cast: Nathalie Baye, Sergi López

2 comments

  1. Curiosa

    Mi piacerebbe sapere quale fosse la misteriosa fantasia nel film “Una relazione privata”. C’è qualche persona che l’ha capito e sa darmi una risposta? Grazie!

  2. samanthacasella

    Penso che l’intenzione dell’autore fosse proprio quella di non fornire il minimo indizio per capirla!

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