Le streghe di Nogaredo

È l’11 novembre del 1646 quando nella piazza di Nogaredo, tal Maria, nota con il soprannome di Mercuria, accusa di furto un’umile venditrice locale di gamberi, Domenica Chemelli detta Menegota, per poi appellarla a stria, ossia strega. La prima a essere accompagnata nella prigione della Rocca di Castel Noarna è Mercuria su cui pendeva un’accusa di aborto in quanto, si sapeva, aveva aiutato ad abortire una ricca donna del feudo, la marchesa Bevilacqua. Inizialmente restia a collaborare, le vengono tagliati i capelli per poi essere sottoposta a interrogatori sempre più pressanti finché, dopo tredici giorni non solo si autoaccusa, ma afferma che sono state Domenica Chemelli e sua figlia Lucia Cavedem, conosciuta come Morella per via dei lunghi capelli corvini, a iniziarla come strega trattenendo l’ostia consacrata da sotto la lingua dopo la comunione e imprimendole il marchio del demonio sulla spalla; per quindi raccontare di aver preparato ungenti satanici con polvere di ossa di morto e di aver partecipato a sabba con altre donne dei dintorni guidate da uno stregone chiamato Delaito. Quel banale battibecco per delle corde di canapa tra due donne provenienti da un ceto sociale modesto prese a quel punto una piega incontrollabile, che sfocerà in “Il processo criminale per la distruzione delle streghe”.

Se quella confessione estorta garantisce a Mercuria la libertà, per Domenica e la figlia Lucia ha inizio un incubo scandito da regolari torture, come quella del “tratto a corda” – che consisteva nel legare i polsi del reo dietro alla schiena e issare il corpo tramite una carrucola fino a provocare la rottura dei tendini e la slogature delle spalle – o dei “sibilli” – in cui le ossa delle mani venivano spezzate da cunei di legno incastrati fra le dita. È tra atroci sofferenze che Marella arriva a spiegare di aver stregato Cristoforo Sparamani, un giovane soggetto ad attacchi epilettici: una notte insieme ad altre donne si sarebbero trasformate in gatti e, una volta entrate nella camera da letto di Cristoforo lo cosparsero di un unguento datole dal diavolo in persona. Dopo di che, le streghe avrebbero ripreso le sembianze umane e avrebbero dato luogo a festini nella cucina del giovane in compagnia del demonio in forma caprina.

Come spesso accade quando gli aguzzini si avvalgono di abusi fisici e psicologici, anche nel caso delle presunte strie vennero fuori nuovi nomi, causando di riflesso altri arresti come quello di Domenica e Benvenuta Graziadei – madre e figlia a cui in un seguito si aggiunse il padre -, Cecilia Sparamani madre del già citato Cristoforo che aveva tentato un po’ di tutto per cercare di guarirlo dall’epilessia: dal chiedere la grazia a Sant’Antonio da Padova all’affidarsi a un monaco di Trento esperto nel togliere le fatture -, il fabbro Gratiadei, il signor Santo Pertellino, Caterina Fitola, Ginevra Chemola, Isabetta e Paolina Brentegani, Maddalena Andrei, detta la filosofa, Valentina Andrei e Pasqua Bernardini.

Il processo ebbe luogo nella sede del tribunale dell’inquisizione a palazzo Lodron; la cui dinastia è un tutt’uno con le origini di Nogaredo da quando nel 1456 Giorgio e Pietro Lodron conquistarono i castelli di Castellano e Castelnuovo di Noarna, incorporando anche Nogaredo nel Feudo di Castellano-Castelnuovo. Non solo, il clima di isteria collettiva indusse molti cittadini a spargere dicerie sempre più inquietanti, seppure il termine corretto sarebbe fantasiose, a carico delle persone imprigionate: le colpe di qualsiasi incidente, malattia o evento atmosferico ricadde infatti sulle strie. Indubbiamente il fatto che a partire dal tardo Medioevo la chiesa cattolica potesse esercitare la sua influenza sul popolo individuando nelle streghe figure eretiche, dedite al culto del maligno, da perseguitare ed estirpare con violenza influenzò in modo determinante tutto ciò che avvenne nell’arco di cinque mesi a dir poco surreali.

Ad ogni modo, l’unico a opporsi strenuamente a quella che pareva essere una sentenza già scritta fu l’avvocato incaricato: Marco Antonio Bertelli. Egli dimostrò che gli interrogatori si erano svolti scorrettamente e fece sottoporre Mercuria a una visita medica da cui emerse come il marchio diabolico da lei messo agli atti non fosse altro che una voglia della pelle. L’ultima carta che calò nel tentativo di salvarla vita alle donne fu quella di attribuire al sesso debole colpe inferiori in quanto «fragili, ignoranti, imbecilli nell’intelletto, credulone e facilmente soggiogabili».

Difficile stabilire se esse fossero sue convinzioni o un disperato tentativo di far ricredere la corte che il 13 aprile 1647 si dimostrò invece irremovibile dichiarando Domenica Chemelli, Lucia Cavaden, Domenica Graziadei, Caterina Fitola, Ginevra Chemola e Isabella e Paolina Brentagani colpevoli di stregoneria e di conseguenza condannate alla decapitazione e successivo rogo – che si sarebbe tenuto il giorno successivo – per infine seppellire i resti alle giarre, in terra sconsacrata. Designato a eseguire il verdetto fu un boia di Merano, Ludovico Oberdorfer. All’ultimo momento venne risparmiato Santo Graziadei, che comunque morirà in prigione – come tutti coloro che furono coinvolti nel processo – a distanza di appena quattro anni.

Insomma, a Nogaredo si compì una tragedia determinata dalla superstizione che voleva attribuire a donne comuni la capacità di stabilire contatti con il maligno. Volendo risalire alle origini del termine strega si scoprirebbe che esso deriva probabilmente da un uccello mitologico che i latini chiamavano strix che, secondo la leggenda, penetrava all’interno delle case per rapire bambini di cui si sarebbe cibato. Non è poi da escludere che nel tempo le streghe altro non fossero che l’elaborazione di un antico culto legato alla fertilità della Dea Madre destinato ad essere combattuto da tutte le religioni organizzate, cristianesimo incluso. Semplificando, nel folclore occidentale le streghe prendevano parte a raduni periodici definiti sabba dove erano solite adorare il demonio in modo da acquisire potere, poi utilizzato per nuocere alla comunità, soprattutto agricola. Bibbia alla mano, dove è citata la strega Endor, dall’Italia alla Francia, dalla Germania alla statunitense Salem tante donne vennero torturate, impiccate, decapitate, arse vive o nella migliore delle ipotesi ripudiate dalla società.

Quanto a Nogaredo, vi è nell’etimologia del nome una coincidenza che si lega al triste processo: deriva infatti dalla parola nux, ossia noce, albero da sempre associato ai sabba. Nogaredo, che quest’oggi è un paese abitato da circa 2000 anime, il cui palazzo Lodron è tuttora di proprietà della famiglia omonima e dove tra il 30 aprile e il 1 maggio una manifestazione in costume, il “Calendimaggio delle strie”, si svolge di anno in anno per non dimenticare quanto avvenuto. D’altronde, alcuni anziani sostengono che nei boschi della zona spesso si sentono terrificanti cantilene sabbatiche, così come sulle acque dell’Adige è stata vista riflettersi una ragazza vestita di rosso dai lunghi capelli corvini.