Ayrton Senna, il messaggero tra cielo e terra

L’equinozio di primavera è legato ai miti della rinascita perché, laddove la notte dura quanto il giorno, vi si annuncia la vittoria della luce sulle tenebre, del bene sul male, della vita sulla morte. E così, in primavera, mentre la natura rifiorisce, l’essere umano si rigenera, trae energia dalla freschezza dell’aria, dallo sboccare dei fiori, dai colori che lo avvolgono, per guidarlo lungo un nuovo percorso, verso nuovi orizzonti, affinché lasci un segno nel mondo. Forse non è un caso che il poema di Ayrton Senna abbia visto la luce insieme alla primavera del 1960 proprio in Brasile, un paese dove, a partire dalla bandiera enfatizza le ricchezze naturali che lo contraddistinguono: l’esuberante foresta Amazzonica nel verde, le riserve d’oro nel giallo al tempo stesso simbolo del sole che ne sovrasta le terre, e un cerchio blu costellato di 27 stelle, come a sancire un patto tra cielo e terra.

Dovrà pur avere un qualche significato, tutto ciò, perché di quel paese Ayrton Senna ne è diventato il figlio prediletto, un messaggero di luce, un eroe. Quasi fosse stato tutto pianificato nei minimi dettagli, sin da bambino. Una vita nel nome del successo, della vittoria. Il talento incommensurabile, la meticolosità nella preparazione, l’ostinato perfezionismo nella messa a punto, la spietatezza di alcune manovre, la costante, maniacale ricerca della prestazione estrema nel disperato tentativo di farla combaciare velocità e freddezza, tangibilità e utopia, ambizione e fede.

Ayrton Senna da Silva nasce a San Paolo il 21 marzo del 1960 in una famiglia benestante che fece la propria fortuna partendo con una piccola fabbrica di ghiaccio per quindi estendere l’azienda agricola di proprietà in oltre 6 mila ettari di terreno. Ayrton, da tutti chiamato affettuosamente Beco, è cresciuto in un ambiente armonioso: visceralmente legato alla madre Neide, ha sviluppato sin da bambino un rapporto di grande complicità tanto con la sorella Vivienne, quanto con il fratello Leonardo, mentre ha associato alla figura del padre Milton un forte senso della responsabilità, di conseguenza tra loro vi è sempre stata una corrispondenza dettata da una profonda stima costruitasi di giorno, in giorno.

Grazie al supporto incondizionato della famiglia, Ayrton ebbe la possibilità di avvicinarsi precocemente al mondo dell’automobilismo. Sotto alla guida di Lucio Pascal nel 1973 si presenta a Interlagos per gareggiare nei kart indossando un casco giallo dipinto da Sid Mosca, inizialmente con una striscia verde alla quale nel tempo avrebbe aggiunto una banda blu, i colori della bandiera brasiliana. Non solo vince, si aggiudica anche il Campionato Junior.

Da quel momento l’escalation di Ayrton sarebbe proseguita senza mai vacillare: partecipò a cinque campionati brasiliani di categoria vincendoli tutti, mentre nel 1977 e nel 1978 domina il Campionato Sudamericano. Intuendone le potenzialità, il padre decide di assecondare il desiderio di Beco di andare a correre in Europa e contatta la DAP, una scuderia kartistica di Milano la cui sigla sta ad indicare le iniziali del patron: De Angelo Parrilla. Giunto in Italia, Ayrton parla esclusivamente portoghese con qualche vocabolo in pessimo inglese. Per respingere la nostalgia di casa non telefonava mai ai genitori anzi, per non indurre a tentazione aveva incaricato il proprio meccanico, il famoso “Tche” – uno spagnolo che lo aveva preso in cura sin dagli esordi in patria  – di mantenere regolari contatti con la famiglia.

Lo stile di guida aggressivo di Ayrton lo rese protagonista nei campionati del 1979 e del 1980, ma la tendenza a non risparmiarsi e di correre sempre per arrivare primo lo fecero sbattere contro una serie di errori in pista che, uniti ai regolamenti a lui sfavorevoli, gli permisero solo di sfiorare il titolo in entrambe le circostanza. Per questo motivo, dati alla mano, il suo principale rivale sui kart, Terry Fullerton, si è dimostrato l’unico pilota che ha impedito a Senna la conquista di almeno un mondiale nella categoria in cui ha gareggiato.

La mente di Ayrton era però già proiettata alla Gran Bretagna e alla Formula Ford; una possibilità che provocò un certo scompiglio in famiglia dato che il padre si oppose al punto da negare un qualsiasi tipo di sostegno economico perché né lui e né la madre vedevano di buon occhio le macchine. Ayrton però non demorse e, conosciuto Ralph Firman, proprietario della scuderia Van Diemen, svolse un test che, sollecitato dall’incremento di una cifra che il brasiliano aveva racimolato vendendo l’auto e una barca a lui intestata, rese possibile l’ingaggio.

Trasferitosi a Norwich con la moglie Lilian de Vasconcelos Souza, nel 1981 Ayrton Da Silva si affacciò sulla Formula Ford 1600, disputando il campionato britannico RAC e il Townsend-Thoresen: li vinse entrambi totalizzando 12 vittorie, 3 pole e 10 giri veloci su 19 gare. Se fino a quel giorno le corse erano state la sua passione, dal 1982 diventarono letteralmente la sua vita. Alla preoccupazione dei genitori nel saperlo al volante di monoposto veloci, si aggiunse anche l’amarezza di un matrimonio finito, seppure senza lacrime.

Il passaggio alla Formula Ford 2000 lo vide imbattile sia nel campionato inglese Pace British sia nell’Europeo EFDA. Non solo incamerò un bottino di 21 vittorie, 15 pole e 22 giri veloci su 29 gare; a fine stagione corse nell’ultima prova del notoriamente ostico Campionato Britannico di Formula 3 segnando una stratosferica tripletta: pole, vittoria e giro più veloce.

La marcia trionfale di Ayrton proseguì anche nel 1983 quando prese parte al Campionato Britannico F3 con una Ralt-Toyota del team West Surrey Racing. Il mondale fu ovviamente suo con tanto di 12 vittorie, 15 pole e 13 giri veloci su 20 gare. Sulle ali dell’entusiasmo partecipò pure alla prestigiosa gara internazionale di F3 di Macao: partito dalla pole, comandò senza esitazioni entrambe le manche e segnò il giro veloce.

Adottato il cognome materno Senna, stando alle dichiarazioni ufficiali perché meno comune rispetto al paterno Da Silva, sempre nel 1983 svolse i primi test su delle vetture di Formula 1 cimentandosi in una giornata di prove alla guida di una Williams FW08C e partecipando a una session organizzata dalla McLaren sul circuito di Silverstone, dove letteralmente straccia gli altri due Martin Brundle e Stefan Bellof.

Giunto ad un passo dal sedere su una Brabham, nemmeno la stima di Bernie Ecclestone fu sufficiente a portare a buon fine la trattativa perché la Parmalat impose l’assunzione di un pilota italiano come seconda guida. Non gli rimase che accettare la proposta di Alex Hawkridge della Toleman, il quale gli offrì un contratto da 100.000 sterline. Suo compagno di squadra fu il venezuelano Johnny Cecotto il quale, fino all’incidente patito sul circuito inglese di Brooklands dove si fratturò entrambe le gambe, sostenne che la scuderia forniva a Senna auto più performanti alimentando polemiche smentite da una direttiva proveniente dal dirigente del team Rory Byrne quando, a Brands Hatch, impose ai suoi piloti di scambiarsi o le vetture ed ugualmente Senna si dimostrò più veloce.

Ayrton Senna fece così il suo esordio in Formula 1 nel 1984 dando subito prova di un talento eccezionale. Entusiasmante fu il suo secondo posto agguantato sotto al diluvio del Gran Premio di Monaco, quando la gara venne interrotta per l’enorme quantità di acqua che rendeva impraticabile la pista, negando ad Ayrton – che stava recuperando oltre sei secondi al giro su Alain Prost – una vittoria che sembrava sicura.  Ad ogni modo, Senna chiuse il Campionato al 9º posto, conquistando, oltre a quello di Montecarlo, altri due podi: in Gran Bretagna e in Portogallo.

Ayrton ha giusto 24 anni quando decide di interrompere la collaborazione con la Toleman e passare alla Lotus, dove trova come compagno di squadra Elio De Angelis. Anche in questo caso il rapporto fu problematico: il romano era infatti una stella coccolata e pretendeva – a suo dire giustamente – una “prima guida” che un Senna troppo lanciato non era disposto a concedergli. Non vi fu modo di farli coesistere: l’egocentrismo che Senna sfoggiava dai box alla pista, snervarono l’italiano al punto da renderne inevitabile il trasloco alla Brabham, culminato con la triste morte avvenuta durante una sessione di prove in Francia.

Gli anni alla Lotus sono quelli che costruiscono di Senna l’immagine di pilota spericolato, egoista, accentrista e persino un po’ scorretto. Al secondo appuntamento della stagione ’85, sul circuito portoghese di Estoril, Ayrton Senna si prende la prima pole position e il giorno dopo la prima vittoria in Formula 1, sotto a una pioggia torrenziale, vincendo con oltre un minuto di vantaggio su Michele Alboreto, doppiando tutti gli altri piloti, compreso il terzo classificato Patrick Tambay. Ai tanti problemi che afflissero la Lotus, il brasiliano rispose raddrizzando il campionato con quattro podi in Austria, Olanda, Italia e Gran Bretagna, oltre alla seconda vittoria sul tracciato belga di Spa-Francorchamps, nuovamente sul bagnato. Una replica che gli avrebbe definitivamente appiccicato addosso l’appellativo di mago della pioggia. Concluso il campionato in quarta posizione, ormai fissato su un piedistallo da Gerard Ducarouge, il brasiliano viene accontentato in ogni sua richiesta contrattuale, compresa quella di avere a fianco uno scudiero incapace di infastidirlo; l’ex test driver della Ferrari Johnny Dumfries.

Nonostante l’inizio ben augurante della stagione ’86 – con Senna capace di  arrampicarsi fino alla seconda piazza in Brasile dietro al connazionale Nelson Piquet e di ottenere una stratosferica vittoria a Jerez de la Frontera, in volata su Nigel Mansel – l’avanzare della stagione avrebbe palesato una lampante superiorità tecnica della Williams. Solamente una serie di azzardi garantirono a Senna il quarto posto nella classifica finale con all’attivo 8 pole position e la seconda vittoria sul circuito cittadino di Detroit.

Al terzo anno consecutivo su una Lotus non più nera bensì gialla, Ayrton Senna è affiancato da Satoru Nakajima, al debutto grazie all’appoggio della Honda; nuova fornitrice dei motori alla scuderia. Il 1987 del brasiliano parte con un ritiro e il secondo posto al Gran Premio di San Marino, mentre a Spa è protagonista di un controverso contatto con Mansell, che fece imbestialire l’inglese al punto che, giunto ai box, si sarebbe presentato nel paddock Lotus per prendere a pugni Senna, provvidenzialmente spalleggiato da Ducarouge che – dalla gioia nel vedere il proprio pupillo mettere tutti in fila a Monaco e a Detroit per poi chiudere l’annata al terzo posto della classifica assoluta – si lasciò andare ad un pianto a dirotto  quando viene annunciato il passaggio di Ayrton Senna alla McLaren, come compagno del “Professore” Alain Prost.

L’ingegnere McLaren Steve Nichols ha raccontato come Ayrton Senna giunse a Woking, sede della scuderia, nervoso e sospettoso che il team non lo apprezzasse e avesse un occhio di riguardo nei confronti di Prost; dopo di che, a mondiale avviato, quando il francese si rese conto di che genere di osso duro si fosse ritrovato vicino, fu lui a diventare diffidente e afflitto da manie di persecuzione. Si sbagliavano entrambi, la McLaren non operò mai alcun favorissimo, seppure è risaputo che Ayrton Senna conquistò a livello emotivo il direttore sportivo Ron Dennis come mai Prost fu in grado di fare. «Il problema tra Senna e Prost era legato all’estrema competitività. Si stimavano, ma tra loro non ci fu mai calore. Senna inizialmente ci provò a instaurare un dialogo, ma Prost ritenne che la sua smania di imparare potesse danneggiarlo e allora lo tenne a distanza. Furono anni splendidi e difficili. Sia Ayrton che Alain si agitavano e iniziavano a lamentarsi non appena sospettavano di essere stati sfavoriti in qualche modo. Erano due piloti eccezionali. Entrambi velocissimi eppure anche molto sensibili, ottimi collaudatori, costantemente indecisi se far prevalere il loro lato istintivo o quello razionale. So che molti vedevano in Senna l’emblema del rischio e della velocità e in Prost il ragioniere, ma non era proprio così. Erano due uomini tesi verso un obiettivo in comune. E per afferrarlo erano disposti a fare qualsiasi cosa» .

La McLaren-Honda MP4/4 del 1988 era una vettura eccezionale e questo consentì a Senna e a  Prost di dominare il campionato, aggiudicandosi ben 15 dei 16 gran premi in programma. Seppure al Gran Premio di Monaco Senna si ritirò per incidente alla curva del Portier mentre era al comando con ampio margine su Alain, il brasiliano totalizzò 8 vittorie e ben 13 pole; coronando il sogno di aggiudicarsi il titolo Mondiale di Formula 1, con una gara d’anticipo, a Suzuka in Giappone passata alla storia per essere una delle gare più strepitose della sua carriera: pur avendo conquistato la pole, la McLaren numero 12 di Senna dovette ripartire da metà schieramento a causa di un’esitazione alla partenza. La rimonta su Prost fu straordinaria e si concretizzò con un sorpasso al 28º giro. Buttando un occhio ai numeri, Senna vinse il titolo pur ottenendo meno punti di Prost  grazie al sistema degli scarti che imponeva di considerare validi soltanto i migliori 11 piazzamenti.

Il 1989 cominciò sulla falsariga dell’anno precedente, con un dominio netto della scuderia britannica e con Senna protagonista di tre vittorie nelle prime quattro gare. In occasione del Gran Premio di San Marino la rivalità con Prost si fece ancor più accentuata: tra i due piloti vi era infatti l’accordo di non superarsi durante il primo giro della corsa, ma Senna violò il patto e vinse la gara provocando l’ira del transalpino. A due gare dalla fine, “Il Professore” aveva 16 punti di vantaggio e la mancata vittoria del compagno di squadra in una delle ultime corse gli avrebbe garantito la conquista del campionato. Durante il Gran Premio del Giappone, a sei giri dalla fine, i due compagni di squadra si ritrovarono a lottare per la prima posizione quando, durante un tentativo di sorpasso da parte di Senna, Prost gli chiuse la traiettoria. Si trattò di una manovra molto discussa: a termini di regolamento Prost aveva diritto di traiettoria, avendo il muso della macchina più avanti di quello dell’avversario, ma la sua decisa sterzata anticipata sembrò una manovra volta a generare l’incidente.

Mentre Prost scese dall’auto in tutta tranquillità, Ayrton ripartì grazie a una spinta dei commissari per quindi rientrare attraversando la chicane e gettarsi all’inseguimento di Alessandro Nannini, superarlo e vincere. Il brasiliano venne però squalificato dai commissari di gara per essere rientrato in pista tagliando la chicane; con derivante terzo titolo tra i guanti di Prost. L’episodio inasprì definitivamente i già compromessi rapporti che Senna aveva con Prost la Federazione, a quel tempo retta da Jean-Marie Balestre.  Vuoi perché Ron Dennis adorava Senna, vuoi perché quella conclusione poco ortodossa sollevò malumori all’interno del team, per rendere tutt’altro che campata in aria l’ipotesi di una cospirazione di Balestre e della Federazione nei confronti del pilota brasiliano a vantaggio di Prost, alla vigilia del GP d’Australia il direttore McLaren decise di mostrare su un maxi-schermo in una sala d’albergo alcuni filmati che dimostravano come tutti i piloti in circostanze di gara simili avessero fatto la stessa manovra di Ayrton senza subire alcuna penalità e di come il regolamento fosse stato manipolato per l’occasione.

Ayrton uscì estremamente provato da quella vicenda e, ritenendosi vittima di un’ingiustizia, meditò l’ipotesi del ritiro, se non definitivo per almeno un anno. Volato in Brasile, fu nella serenità che solo la famiglia riusciva a trasmettergli che decise di accettare quanto accaduto e di concentrarsi sulla stagione 1990 la cui trama si dispiegò nel terzo capitolo della lotta tra lui e Prost, non fosse che il francese vestiva i colori della Ferrari. Scenario cruciale sarebbe stato nuovamente il Giappone, dove però Senna vi sbarcò davanti in classifica e con 6 vittorie all’attivo. Partito al palo, Ayrton fu bruciato da Prost in partenza ma, alla prima curva, quando Prost chiuse la traiettoria, Senna ritardò volontariamente la frenata speronando il francese. Finiti fuori pista entrambi, il brasiliano poté laurearsi campione del mondo per la seconda volta, questa volta con il numero 27. Interrogato sulla dinamica di quanto avvenuto, avrebbe detto: «Le corse sono fatte così, a volte finiscono alla prima curva, altre volte finiscono a sei giri dalla fine».

Nel 1991 la Honda decise di abbandonare il collaudato V10 e cominciare lo sviluppo del V12. Dopo un dominio lungo 4 Gran Premi – tra le quali ha spiccato la terza vittoria davanti al proprio pubblico a San Paolo dove lottò con problemi al cambio dal 60º giro in poi, perdendo tutte le marce a eccezione della sesta causandogli dolori lancinanti alle braccia – seguì un ritiro e due terzi posti. Dopo altri due Gran premi complicati, sempre sopportato dal nuovo compagno e amico Gerard Berger, il brasiliano tornò a vincere in Ungheria e a Spa per quindi approfittare prima di un errore al pitstop dei meccanici Williams in Portogallo, poi di Mansell a Suzuka. Altri due secondi posti e la vittoria nell’ultimo Gran Premio ad Adelaide garantirono ad Ayrton Senna il terzo trionfo mondiale.

L’anno successivo Senna e la McLaren nulla possono contro la Williams FW14B, dotata di sospensioni attive. A riprova di come la conferma del titolo fosse una missione impossibile possono essere portate adesempio le prime cinque gare dove Senna giunse al traguardo solo due volte. Nonostante il mondiale compromesso, il brasiliano avrebbe comunque abbassato la saracinesca sull’annata con tre successi: a Monaco a Budapest e a Monza.

L’aver chiuso un campionato come quarto assoluto, cosa che non avveniva dal 1986, unito allo spettro di un 1993 altrettanto in salita per la McLaren, spinse Ayrton a firmare un accordo in extremis con il Team per cui accettò di correre a gettone: avrebbe deciso di volta in volta se gareggiare o meno, alla cifra di 1 milione di dollari a Gran Premio. Fu vicecampione, dietro a Prost, ottenendo 5 trionfi: a Donington – dove, sotto una pioggia scrosciante effettuò quattro sorpassi nel primo giro e spadroneggiò dando quasi un minuto e mezzo di distacco al secondo, Damon Hill, e più di un giro a Prost – in Brasile, sempre sul bagnato, a Monte Carlodove vinse per sesta volta – in Giappone e in Australia – che si sarebbe rivelata l’ultima vittoria di Ayrton Senna e l’ultima gara in Formula 1 dello storico rivale Prost. I due si abbracciarono sul podio: non era semplicemente avvenuto il passaggio di un testimone – in quanto l’anno seguente Senna sarebbe passato alla Williams – era finita un’era.

Il 1994 avrebbe dovuto essere un mondiale tutto suo, con un unico rischio: la solitudine. In verità la sola estraniazione in cui si trovò immerso Senna fu quella inerente a un Team che, pur riconoscendone la grandezza, non era disposto a coccolarlo, ad ascoltarlo, come era invece avvenuto in Toleman, Lotus e McLaren. A un’atmosfera non proprio amichevole, si aggiunse il divieto di utilizzare dispositivi elettronici – che fece perdere stabilità alla Williams – e le difficoltà di Ayrton ad adattarsi all’abitacolo, strettissimo, progettato da Adrian Newey.

Nelle prime due gare, a Interlagos e in Giappone, Senna conquistò due pole position, ma le gare si risolsero con due ritiri. Ayrton era deciso a riscattarsi a Imola, ma le prove del venerdì cominciarono nel peggiore dei modi: il cedimento della sospensione posteriore sinistra della Jordan di Rubens Barrichello innescò un terribile incidente alla Variante Bassa che causò al connazionale del tre volte campione del mondo, la frattura del setto nasale, un braccio fasciato e una costola incrinata. Il sabato, la morte tornò a bussare alle porte della Formula 1. All’uscita del Tamburello la Simtek dell’austriaco Roland Ratzenberger subì la rottura dell’ala anteriore e, non riuscendo più a curvare sbatté  a 306 km/h contro il muro esterno della curva Villeneuve. Se sul volto di Ayrton Senna vi era possibile leggere una costante vena malinconia, in quei giorni si fece largo un qualcosa di indecifrabile, ingigantito dal gesto di togliersi il casco sulla griglia di partenza. Non lo aveva mai fatto.

La maledizione proseguì di domenica. Un incidente alla partenza tra J.J. Lehto e Pedro Lamy, catapultò i rottami della Benetton e della Lotus fino alle tribune provocando ferimento di alcuni spettatori. La safety car rimase in pista fino alla fine del 5º giro. Dopo la ripartenza, Ayrton Senna avrebbe battuto il cronometro per l’ennesima volta fissando il giro più veloce ma, al 7º giro, giunto alla curva del Tamburello, perde il controllo della Williams. Lo schianto contro il muro avviene ai 270 km/h. Sono le 14:17.

Nel giro di due minuti i medici accorsero presso il luogo dell’incidente. Dopo averlo estratto dall’abitacolo, lo stesero a terra per poi togliergli il casco. Il medico ufficiale di gara, il dottor Sid Watkins, cercò di tamponarne le condizioni disperate praticandogli una tracheotomia; per quindi richiedere l’intervento dell’elisoccorso. Alle 15:00, Ayrton Senna venne caricato a bordo dell’elicottero, che decollò dalla pista, diretto all’Ospedale Maggiore di Bologna. Ricoverato nel reparto di rianimazione, ogni tentativo di salvargli la vita fu vano e Ayrton Senna spirò senza aver mai ripreso conoscenza alle 18:40 di domenica 1 maggio 1994, all’età di 34 anni.

Ayrton Senna ha preso il via in 161 Gran Premi. Ha vinto 41 gare: 35 su McLaren e 6  su Lotus. Ha inoltre ottenuto 65 pole position: 46 in McLaren, 16in  Lotus e 3 in Williams . È partito per 87 volte in prima fila e ha ottenuto 96 piazzamenti a punti, 80 dei quali sul podio, percorrendo 13672 km al comando di una corsa, vale a dire 2931 giri. La causa della tragedia è imputabile al cedimento del piantone dello sterzo, che era stato modificato per consentire la guida del mezzo in quanto le nocche del pilota toccavano l’abitacolo. La saldatura manuale si rivelò però insufficiente a reggere le sollecitazioni della gara, togliendo ad Ayrton il controllo della vettura durante la curva. A essergli fatale sarebbe invece stato il puntone della sospensione anteriore destra che, spezzatosi, penetrò nella visiera del casco, dal bordo superiore provocando lo sfondamento della regione temporale destra, oltre a gravissime lesioni e la conseguente perdita di 3 litri di sangue.

La bara di Ayrton, avvolta nella bandiera verde-oro del Brasile, quel martedì 3 maggio viaggiò dapprima sull’aereo del presidente della Repubblica da Bologna a Parigi, poi sul volo “Varig RG723” Parigi-San Paolo: per esplicita richiesta della madre non venne inserita in stiva ma in cabina, in uno spazio ricavato dalla rimozione di alcuni sedili. Durante il volo il giornalista Livio Oricchio – connazionale del pilota – e altri amici restarono sempre vicino al feretro. Al funerale, oltre alla famiglia devastata dal dolore, sono presenti Ron Dennis, diversi colleghi e un popolo dolente, scosso, congestionato da tre giorni di lutto nazionale. C’é anche Alain Prost. Se a Imola era stato Ayrton a mandargli un messaggio via radio, un «Ciao Alain, mi manchi!» a San Paolo il grande nemico sarà tra coloro che trasportarono il feretro.

La morte di Senna ha lasciato in Alain Prost una ferita impossibile da rimarginare. «Quel giorno persi una parte di me. Lo capì subito che era morto, ebbi come la sensazione che qualcosa che sentivo come mio se ne fosse andato per sempre». Nel ventennale della morte del brasiliano Alain venne contattato per offrire una testimonianza. Gli chiesero se avesse qualche rimpianto su come erano andate le cose tra loro. «No, non credo sia una questione di rimpianti. Io ero un uomo molto differente rispetto a quanto sono ora. Anche Ayrton adesso lo sarebbe, lui era cambiato tantissimo già nel 1993, nel 1994. Però spesso mi chiedo come possiamo essere arrivati a tanto. Io avvertivo la sua stima, però non capivo il suo codice e mi chiedevo: come può essere tanto competitivo in pista, tanto pieno di fissazioni ai box, poi quando si toglie il casco si comporta come se niente fosse successo? Perché mi gira intorno? Mi sorride, si complimenta, mi chiede dei miei hobby… Come ho detto, io ero molto diverso e quelli non furono anni semplici, avevo grossi problemi familiari – nel 1990 Alain divorziò infatti dalla prima moglie due mesi dopo la nascita del secondogenito perché da diverso tempo frequentava un’altra donna – e non volevo preoccuparmi di interpretare anche il suo comportamento. Poi tutto a un tratto capì una cosa: i primi due anni eravamo semplicemente due piloti caratterialmente diversi che volevamo vincere ma lui, nel 1989 si sentì ingannato e l’anno dopo fece quello che una persona con il suo codice avrebbe fatto. Si prese la rivincita, ma dentro di sé sapeva di aver fatto la cosa sbagliata. Gli lessi la sofferenza negli occhi. Ripensando a quegli anni, mi rendo conto di averlo iniziato a capire proprio nel giorno in cui fece nei miei confronti una grande scorrettezza». Ha però un sogno, ancora legato ad Ayrton Senna: «Io spero che gli ammiratori di Senna nel tempo abbiano capito, che non provino odio nei miei confronti per le cose che sono successe. Spero che lo stesso facciano i miei fan nei suoi confronti. Io non posso sapere se nel tempo saremmo diventati amici, ma sono sicuro che avremmo tentato di conoscerci, finalmente».

Di certo finì quella Formula 1. Nel nome di una maggior sicurezza sarebbero cambiati i circuiti, sarebbero state modificate le vetture, e  l’avvento del computer, della mappatura elettronica, avrebbe reso possibile un’avvilente assistenza alla guida, artefice al pari dello stravolgimento di alcune piste di un appiattimento globale della disciplina; ormai sempre più in balia della giusta strategia da adottare ai box e sempre meno tra le mani del pilota.

D’altronde, con la morte di Senna, la Formula 1 venne giudicata come una sorta di regno del male, dimenticando che proprio in quel regno Ayrton Senna aveva imposto la propria legge, la propria personalità. Ha lasciato un vuoto immenso in chi l’amava perché era timido, educato, generoso, fedelissimo ai propri affetti. Era un campione immenso, era il Mozart della velocità, certo, ma era anche un pilota capace di manovre arroganti, di richieste contrattuali pronte a sfiorare in un qualcosa di simile al delirio di onnipotenza. Correre ed essere il migliore sono state ossessioni che lo hanno reso un uomo perennemente insoddisfatto, forse solo, incapace di gioire in pieno dei propri successi. Un uomo che si sentiva a proprio agio solo quando si calava dentro un’auto da corsa per infine avvertire una lacerante incompletezza quando ne usciva.

3 comments

  1. olimpia58

    Se possibile, ti apprezzo ancora di più. Mi hai commosso

  2. Djávlon

    Carissima Samantha, sono il Presidente di Ordem e Progresso in Brasile, associazione italiana, mi chiamo Andrea Ruggeri, ma da oltre 40 mi chiamano Djávlon (che scritto così sarebbe il diavolone in romagnolo, o per lo meno lo scrissi così e così è rimasto). Ho avuto la lieta sorpresa di conoscerti per come scrivi (passione al primo scritto) e adesso cercherò di conoscerti nel resto dei tuoi lavori. Sono romagnolo come te, la mia famiglia è di Faenza, io di Lugo, ma vivo a San Paolo da oltre quasi 30 anni.
    Vorrei tanto conoscerti e chissà fare qualcosa assieme per questo popolo di italo brasiliani (oltre 44 milioni), ho usato la tua scritta Ayrton Senna, il messaggero tra cielo e terra, oggi a 25 anni dalla morte, citandoti in un mio articolino, sei brava e vorrei seguirti. Intanto ti passo il link di questo scippo nel blog dei nostri italiani così potranno conoscerti ed amarti come ti amo io. Se vuoi cambio la tua fotografia, inviaci quella con cui adesso ti senti meglio.
    https://www.italia.org.br/l/ayrton-senna-il-messaggero-tra-cielo-e-terra/

    1. samanthacasella

      Mi scuso immensamente per il ritardo con cui rispondo. Per prima cosa grazie per le parole e la condivisione, è una cosa che mi ha colpita profondamente e che mi ha dato una forte emozione.
      Spero anche io che avremo modo di conoscerci e chissà, di avere modo di collaborare a qualche progetto.
      Grazie ancora, di cuore!

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