Amedeo Modigliani, il pittore che spogliava l’anima

Tutto ebbe inizio di profilo, quasi bastasse una metà per delineare un volto; poi i modelli ritratti iniziarono a mostrarsi all’osservatore e, fossero essi a mezzo busto o a figura intera, lo scopo era quello di trasmettere il potere che erano in grado di esercitare, il lusso che potevano sfoggiare, la bellezza che avevano ricevuto in dono; così come gli scenari retrostanti, a poco a poco avrebbero contribuito ad arricchire l’opera, fornendo spunti a volte allegorici, più di frequente contestualizzati. Se i simbolisti mai abusarono dei ritratti, quasi che il volto fosse un mezzo incapace di celare in sé metafore degne d’attenzione, agli inizi del ‘900 un uomo si immerse nel mondo interiore dei propri soggetti, attraversò confini sconosciuti, per lì inabissarsi con il suo stile febbrile, impetuoso, passionale. Sospesi in un’atmosfera misteriosa, circondati da ambientazioni prive di valore, i visi e i colli allungati, le labbra increspate, gli occhi vuoti, Amedeo Modigliani ha impresso sulle sue tele ciò che era posato, nascosto, al di là del ritratto, lasciando le figure terrene spogliate della propria anima.

Amedeo Modigliani nasce a Livorno il 12 luglio del 1884; ultimogenito dei quattro figli di Flaminio Modigliani e di Eugénie Garsin, originaria di Marsiglia Ad impedire il tracollo economico della famiglia a causa del fallimento di alcune società agricole e minerarie appartenenti al padre in Sardegna, fu lo spirito di iniziativa della madre che, oltre a gestire una scuola materna ed elementare, non si risparmiava a dare lezioni private e svolgeva il lavoro di traduttrice durante le ore notturne. Non solo, fu Eugénie a occuparsi personalmente dell’istruzione dei suoi figli; in particolare di Amedeo, ragione in più che oltre a essere probabilmente il più sensibile e votato allo studio, a quattordici anni soffrì prima da una febbre tifoide per poi essere colpito da un’acuta pleurite che gli scatenò una forma di tubercolosi talmente grave da costringerlo a restare recluso in casa per circa due anni. Fu proprio in questo periodo di malattia che maturò una prorompente passione per il disegno, in particolare modo per il ritratto, fino a strappare alla madre la promessa, una volta guarito, di andare a lavorare nello studio di Guglielmo Micheli, uno dei migliori allievi del grande Giovanni Fattori e uno dei pittori più in vista di Livorno, da cui apprenderà le prime nozioni pittoriche per quindi assorbire l’influenza esercitata dai Macchiaioli; movimento pittorico che affermava la teoria della ‘’macchia’’; sostenendo che la visione delle forme è creata dalla luce come macchie di colore, distinte, accostate o sovrapposte ad altre macchie di colore.

“Grande Nudo disteso” di Amedeo Modigliani è esposto al Museum of Modern Art di New York

Nel 1902 Amedeo Modigliani s’iscrisse alla “Scuola Libera di Nudo” di Firenze, mentre il passo successivo fu quello di frequentare l’Istituto di Belle Arti a Venezia. Furono esperienze formative importanti; eppure egli era già proiettato verso Parigi, dove emigrò nel 1906 portando con sé una scatola di colori, dei fogli da disegno, libri come La divina commedia e Così parlò Zarathustra, e una discreta cifra di denaro lasciatogli dalla madre. Stabilitosi in un albergo del centro vicino alla Madeleine, una volta ambientatosi tra le pieghe di quel contesto tanto stimolante, il ventiduenne toscano prese alloggio al Beteau-Lavoir, una comune per artisti squattrinati di Montmartre. Inizialmente propenso a pensarsi come uno scultore, ben presto si concentrò sul dipinto ma, se pure attratto tanto dal mondo fuggevole di Henri de Toulouse-Lautrec, quanto dall’enigmatico tocco di Paul Cézanne; Amedeo Modigliani non si lasciò incatenare da nessuna corrente; sviluppò uno stile unico, impossibile da catalogare.

A dispetto della sua indole schiva e solitaria, nella capitale francese strinse numerose amicizie. In un celebre cabaret di Montmartre, il Lapin Agile, conobbe il poeta André Salmon, lo scrittore Francis Carco, lo scrittore e al tempo stesso pittore Max Jacob, il pure lui pittore Juan Gris e la controversa Suzanne Valadon che, da artista circense divenne modella e amante di Renoir, per quindi dar vita lei stessa a tele e a eccessi i ogni tipo, ma anche madre di Utrillo, pure egli caro a Modì nonostante i non rari episodi in cui i due arrivarono alle mani. Il legame più solido fu probabilmente con il “selvaggio” Chaïm Soutine, di dieci anni più giovane, al pari suo ebreo e forse ancor di più dedito all’alcol, ma a differenza dell’italiano cresciuto nell’assoluta povertà di una Russia feroce. Amedeo si prese cura di lui imponendogli prima di farsi almeno un bagno alla settimana, poi ad usare coltello e forchetta. Si narra che insieme abbiano rubato la carcasse del bue poi impresso sulla tela da Soutine e che fossero inseparabili. Allo stesso tempo però Modigliani non era tormentato dalle visioni che stritolavano il russo e, a dispetto della semplicistica etichetta di “artista maledetto” appiccatagli addosso, l’italiano seppe confrontarsi e di conseguenza attingere qualcosa da personaggi di fama quali Moise Kisling, Diego Rivera, Pablo Picasso e Constantin Brancusi. 

Molti degli amici di Amedeo Modigliani divennero quindi protagonisti delle sue opere, da lui considerate concluse dopo al massimo due sedute e che si rifiutava di ritoccare una volta terminate. Destino volle che approfondì un solido legame anche con Paul Guillaume, un ambizioso mercante d’arte e collezionista, talmente innamorato della mano poetica di “Dedo” da farsi immortalare ben tre volte. Non solo, fu Guillaume a spingere Modigliani a dedicarsi alla scultura – e ad esporne una serie al Salone d’autunno del 1912 -; almeno fino a quando le polveri generate dal lavoro non gli provocarono un aggravarsi della tubercolosi che covava nei polmoni dell’artista.

Uno dei dipinti realizzati da Amedeo Modigliani ritraenti l’amico Chaïm Soutine

Riversatosi completamente sulla pittura passò dai ritratti a nudi concepiti con una linea ondulata, opere quest’ultime che lo hanno consacrato. Seppure molte delle figure femminile fissate su tela furono sue amanti, il rapporto tra Amedeo Modigliani e le donne sarebbe stato molto più profondo e carico di significati rispetto a una semplice “questione di letto”. Compito di Rosalie, locandiera di Montparnasse, era quello di tenerlo in consegna nel retrobottega fino a quando le sbronze non gli erano passate e, nonostante  mai fu del tenero, lo ha descritto come un uomo dignitoso, galante e gentile ma soprattutto seducente: «Dio come era bello! Tutte le donne gli correvano dietro!». Storie di natura puramente sessuale si consumarono con la figlia di una prostituta marsigliese, tale Elvira, detta la “Quique” – il cui quadro è tra i più riprodotti nelle cartoline dedicate alle produzioni dell’artista – e con l’artista britannica Nina Hammett. Si innamorò perdutamente di lui una giovane franco-canadese, Simone Thiroux e, nel nome di un sentimento mai ricambiato, gli diede addirittura un figlio mai riconosciuto e poi finito in adozione dopo la prematura morte della ragazza. Feroce e straziante fu la passione fisica e intellettuale per l’inglese Beatrice Hastings, mentre il grande amore lo trovò solamente in una timida diciannovenne che parlava per sussurri e si muoveva a scatti; l’angelica Jeanne Hébuterne, che il 29 novembre del 1918 diede alla luce una bambina, anch’ella battezzata Jeanne.

La prima personale tenuta alla Gallerie Berthe Weill il 3 dicembre del 1917 e chiusa dopo poche ore dall’apertura dal capo della polizia di Parigi perché scandalizzato dall’immoralità dei nudi di Modigliani in vetrina; e i costanti tentativi da parte del suo principale mercante, Léopold Zborowski di vendere a Nizza alcuni dei dipinti di Amedeo Modigliani per pochi franchi, anche solo per permettergli di comprare nuove tele e colori – ma che spesso svanivano in droghe e alcol -; furono l’interludio a un periodo relativamente sereno, trascorso in un appartamento affittato a Parigi, in rue de la Grande Chaumière. Lì, per poco più di un anno, Jeanne e “Dedo” condussero la solita vita, dipingendo ritratti l’uno dell’altra, lui sempre più segnato dalla tubercolosi e da un evidente degrado psicologico, lei devotamente votata ad accudirlo. Questo, finché una mattina di gennaio del 1920, l’inquilino del piano di sotto, insospettito perché non vedeva la coppia da oltre una settimana, controllò l’abitazione e trovò Modigliani delirante nel letto mentre si aggrappava a Jeanne, che era quasi al nono mese della seconda gravidanza. Ricoverato all’Hôpital de la Charité, Amedeo Modigliani morì a soli trentasei anni all’alba del 24 gennaio 1920, senza mai riprendere conoscenza.

Jeanne Hébuterne, moglie e madre dell’unica figlia di Amedeo Modigliani

A questa tragedia seguì un epilogo ancora più straziante: dopo aver visto il cadavere dell’amato Amedeo, Jeanne andò a casa dei genitori e, ad appena ventidue anni e prossima al parto, si gettò da una finestra del quinto piano. Modigliani venne sepolto nel cimitero Père-Lachaise nel pomeriggio del 27 gennaio, mentre la moglie fu tumulata il giorno dopo nel cimitero parigino di Bagneux; e fu solo nel 1930 che i suoi amareggiati genitori concesse che le sue spoglie venissero messe a riposare accanto a quelle dell’artista, ma fu Moise Kisling, il quale aveva raccolto una colletta tra amici, artisti e modelle, a saldare la fattura di 1.340 franchi per le esequie e trasporti funebri”

La loro prima e unica figlia di soli venti mesi, fu affidata alla nonna paterna Eugènie Garsin, che aveva continuato a vivere a Livorno. Jeanne Modigliani si sarebbe laureata a Pisa in storia dell’arte con una tesi su Vincent van Gogh. Perseguitata dal fascismo in quanto ebrea, si rifugiò a Parigi, ma quando la Francia fu occupata dai nazisti venne incarcerata per motivi politici. Ad ogni modo, si sarebbe dimostrata un’apprezzata saggista e critica d’arte ed il suo lavoro costante per ottenere un riconoscimento ufficiale al valore dell’opera paterna ebbe un gran successo nel 1981, quando a Parigi allestì la mostra più completa di Modigliani sino ad allora tenutasi: oltre 250 opere fra dipinti, sculture, gouaches e disegni. Tre giorni dopo il ritrovamento a Livorno delle tre teste false erroneamente attribuite a Modigliani, morì a causa di una emorragia cerebrale in seguito a una caduta. Quanto al figlio nato dalla relazione con Simone Thiroux, si chiamava Gerald Thiroux Villette, divenne sacerdote e per tutta la vita guidò la parrocchia di Milly-la-Foret, fino alla sua morte, avvenuta ottantasettenne nel 2004.

«La felicità è un angelo dal volto serio»; scrisse Amedeo Modigliani nel 1913 quando, sradicatosi dalle proprie origini borghesi, si tuffò, per poi lasciarsi sprofondare in un abisso dal quale gli fu impossibile riemergere; quasi che l’incapacità di essere capito, apprezzato per il suo valore, così come l’intima consapevolezza di venire lentamente corroso dalla malattia, non furono tanto le ragioni che lo resero un genio maledetto, bensì la conseguenza di un bisogno di decadenza, di impulsi estremi e estremizzati che lo condussero al fallimento nella vita e alla gloria nella morte; sospinto dal disperato tentativo di salvare i propri sogni.

Amedeo Modigliani