The Irishman, il testamento di Martin Scorsese

Un uomo qualunque, ma non troppo. Un uomo privo di ambizioni, almeno apparentemente. Un uomo che seppur restando nell’ombra è molto di più che un testimone in un particolare periodo storico degli Stati Uniti; quello in cui la mafia muoveva i fili nemmeno troppo sotterranei di una nazione e spesso li tagliava, quando fallì l’invasione alla Baia dei Porci, in cui venne assassinato il presidente John Kennedy prima ed il fratello Robert poi, laddove fu progettata la sparizione del principale sindacalista a stelle e strisce Jimmy Hoffa. Quell’uomo, Frank Sheeran, è l’irlandese, l’indecifrabile protagonista di “The Irishman”, forse la pellicola più grandiosa, più amara, più dolorosa di Martin Scorsese.

Fino a un certo punto della sua vita, Frank Sheeran è semplicemente un veterano della Seconda Guerra Mondiale che lavora come autista di camion che contengono imballaggi di carne. L’uomo del destino per Frank risponde al nome di Russell Bufalino, boss della mafia a Filadelfia che non si limita a risolvere un guasto meccanico che rischia di compromettere la giornata di Sheeran, ma ne stravolge la vita pur senza modificarne l’indole. Perché Frank Sheeran rimane quello di sempre: un uomo indecifrabile, la cui affidabilità non è dettata dall’ambizione, bensì dalla fedeltà, da una sorta di inconscia consapevolezza di essere un messaggero tragico.

L’epopea che racconta Martin Scorsese è quella di due uomini che seppur partendo da piani diversi, decidono di scrivere insieme la loro storia perché così deve essere. Di conseguenza, la loro amicizia andrà oltre al lavoro, seppure mai prevaricherà, mai influenzerà gli affari o quanto è nell’ottica di ciò che deve accadere. Ne faranno le spese una miriade di personaggi, che non va dimenticato furono persone realmente esistite, tra le quali niente meno che Hoffa, un uomo all’epoca più popolare persino di Elvis Presley, un uomo conquistato a sua volta dalla professionalità di Frank Sheeran, dalla sua capacità di stare al proprio posto, dalla sua personalità che, paradossalmente, in contrasto con i modi istrionici del sindacalista potrebbe essere confusa per una non personalità; un uomo evidentemente non esente dalle ingenuità, dalle debolezze, che possono rendere vulnerabile pure un potente che conquista, sin da quando è bambina la figlia maggiore di Frank, tramite uno dei gesti più comuni, più spontanei: offrendole un gelato; simbolo e miccia di un amore platonico che la accompagnerà l’intera vita di Peggy, personificazione della Nemesi che scalfirà il padre in vecchiaia, negandogli prima la parola, poi persino la vista.  

Predestinazione, colpa, (assenza di) redenzione, sacrificio, tradimento; temi cari a Martin Scorsese e innalzati ai massimi livelli in “The Irishman”; il cui incipit viene da un libro scritto sull’onda di una serie di confessioni rilasciate da Sheehan – “I Heard You Paint Hauses”, tradotto in italiano come “L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa -, sulla cui autenticità aleggiano non pochi dubbi. Privo di qualsiasi obiezione è invece, ovviamente, la maestosità del cast: da Robert De Niro a Joe Pesci – protagonisti di in una delle migliori prove in carriera – da Al Pacino ad Anna Paquin, passando per Harvey Keitel. Indubbia è infine l’eccellenza che Martin Scorsese inchioda sullo schermo quando (ri)propone quelle storie, quelle dinamiche, quelle tragedie moderne che lo hanno forgiato, rendendolo il mostro sacro che è; ed impongono al suo cospetto una silenziosa riverenza.

One comment

  1. AffiliateLabz

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