The Tree Of Life: la via della resurrezione

«Sono stati loro a condurmi alla tua porta».

«Ci sono due vie per affrontare la vita: la via della Natura e la via della Grazia. Tu devi scegliere quali delle due seguire. La Grazia non mira a compiacere se stessa. Accetta di essere disprezzata, dimenticata, sgradita. Accetta insulti e oltraggi. La Natura vuole solo compiacere se stessa e spinge gli altri a compiacerla. Le piace dominare, le piace fare a modo suo. Trova ragioni di infelicità quando tutto il mondo risplende intorno a lei e l’amore sorride in ogni cosa. Ci hanno insegnato che chi ama la via della Grazia non ha ragione di temere. Io ti sarò fedele, qualsiasi cosa accada». Il sipario di The Tree of Life si apre con questo concetto universale, destinato a diventare anche scheletro, cuore, anima di una storia che abbraccia la vita nella sua interezza, verrebbe da dire “nei secoli dei secoli”, intrecciandosi con la vicenda familiare di una famiglia texana di ceto medio, devotamente cristiana degli anni ’50. 

La madre, interpretata dall’eterea Jessica Chastain, incarna la grazia. Con tenerezza condivide con i figli momenti di struggente dolcezza accompagnandoli verso la conoscenza dei sentimenti, insegna loro l’amore, il rispetto per il prossimo. Il padre, i cui panni sono vestiti dal miglior Brad Pitt di sempre, simboleggia invece la natura. Il suo modello educativo è violento, teso al conseguimento di obiettivi interfacciati alla realizzazione personale, alla scalata sociale. Questo dualismo, questo scontrarsi tra brutale forza e presunta debolezza condiziona in modo devastante i figli. Terrence Malick incarica Jack, impersonato in età adulta da un fragile Sean Penn, a condurci, tramite i processi della sua crescita a esplorare il ventaglio emozionale di un essere umano che tenta di costruire una propria identità fino desiderare la morte del padre, ma allo stesso tempo rinnegando l’esistenza di Dio. Saranno le speranze disilluse, la rabbia repressa, il rancore incastonato dentro la gabbia toracica, il dolore per la prematura scomparsa del fratello più simile alla madre a farne un adulto perso in un mondo tecnologico in cui cerca di trovare sé stesso. Per farlo però, deve capire il proprio passato e allora la sua storia diviene la storia di tutti. Di più, Terrence Malick relaziona una vita al mondo intero, fino a toccarne l’origine.

«Il Signore dà e il Signore prende: questa è la sua natura. Sparge sale sulle ferire che dovrebbe curare». È soprattutto tra le pieghe di questa constatazione che il regista prende una posizione decisa. La creazione, la scintilla ha la sua genesi in una condizione limpida, precisa ed inequivocabile: il mondo si fonda nel dolore. Non a caso, la creazione avviene sulle note della toccante “Lacrimosa”; dal requiem di Zbigniew Preisner. Le immagini liriche di Malick spaziano dai silenziosi fondali marini, a maestose cascate, dalla vestita del cielo al silenzio delle stelle, eppure dalla preistoria ai grattacieli chiunque abbia attraversato e attraverserà questo mondo conoscerà principalmente il dolore.    

L’invito è di accettare il prima possibile la straziante realtà, ossia che «un giorno cadremo e verseremo lacrime. E perderemo tutto. Ogni cosa». “The Tree of Life” è la prova assoluta della grandezza di Terrence Malick; è un’opera monumentale, un’intima tragedia greca, una Bibbia che si conclude con una visione onirica tesa a suggerire come l’affanno della vita conduca a una sola soglia degna di essere varcata; ed essa permette il ricongiungimento coi morti. «Guidaci, fino alla fine del tempo».