Cani neri, l’abisso del male

«La verità è che ci amiamo, non abbiamo mai smesso, per noi è un’ossessione. Solo abbiamo fallito in un punto. Non siamo riusciti a vivere. Non abbiamo saputo mettere da parte l’amore, ma nemmeno piegarci al suo potere». Nel suo quinto romanzo, “Cani Neri”, Ian McEwan si immerge in una storia intensa, scandita da salti temporali, attraversata da echi mai sopiti, densa di suggestioni in cui la storia, l’amore, il male, gli ideali si mescolano fino a dar forma a una nube oscura, destinata a gravare sul destino dei personaggi. 

La storia di “Cani Neri” è nel cuore e nella mente di Jeremy; un trentenne proprietario di una piccola casa editrice, marito e padre appagato, eppure ancora incapace di colmare un vuoto che lo stritola da quando, a soli otto anni, rimase orfano. I suoi genitori putativi divengono i suoceri, Bernard e June Tremaine, in gioventù uniti da un amore travolgente e dalla fedeltà per l’ideologia comunista, per poi ritrovarsi divisi dalla vita, allontanati dalla e nella storia, separati al punto da essere disposti ad affrontare il tramonto delle loro esistenze addirittura in paesi differenti. 

Tramite i loro racconti, Jeremy individua l’episodio chiave, destinato a cambiare la loro vita e che non poteva che dare il nome all’opera: è l’agosto del 1946 quando durante il viaggio di nozze a le Gole della Vis, nel su della Francia, June viene aggredita da due cani neri, senza padrone, dall’aspetto mostruoso. Forse è la fame a renderli aggressivi, forse hanno contratto la rabbia. Di certo vennero portati dai nazisti durante la guerra per torturare i prigionieri. Fu così che per Jane quei cani neri diventano due mostri mitologici, due creature metafisiche, allegorie del Male.

Tutto quello che era stato fino a quel momento, per June non ha più senso. Certa dell’esistenza di un piano divino, le incomprensioni con il marito, divenuto un celebre entomologo dall’indole pragmatica e materialista, divengono ostacoli insormontabili per il loro amore, sempre pulsante eppure lacerato da rancori insanabili.

Il tempo ha limato anche Bernard la cui carriera non ha reso soddisfacente l’evolversi della sua crescita umana. Pure lui, a distanza di decenni, senza più i nazisti e con il muro di Berlino ormai demolito si è imbattuto in due “cani neri”; ossia quando tenta di difendere un turco aggredito da un gruppo di naziskin. A salvarlo dalla rabbia di quei ragazzi è una sconosciuta che assomiglia in modo inquietante a June, ormai morta. L’anziano, seppur turbato dalla somiglianza, non attribuisce nessun significato simbolico all’episodio e Ian McEwan utilizza questo passaggio per rimarcare le inconciliabili differenze tra i due ormai ex coniugi.

“Cani neri” metaforizza l’eterno conflitto tra mente e anima, tra razionalità e spiritualità. Ian McEwan materializza il crollo di un utopia, dipinge il fallimento della storia collettiva con le macerie che restano dell’amore senza confini tra un uomo e una donna che eppure non è bastato a placare in una il risentimento e nell’altro l’ostinata incomprensione. Perché i cani neri non se ne vanno mai