La doppia vita di Veronica, la tragedia nel destino

Sensazioni che si ripetono, quasi fossero dei moniti a cui è impossibile sfuggire. Presentimenti che si allacciano all’anima, stritolandola. Sentimenti impossibili da definire, irrazionali, privi di sostanza eppure densi di spessore. “La doppia vita di Veronica” parla attraverso l’inconscio / subconscio di Krzysztof Kieślowski, il quale dà vita a una pellicola criptica, onirica,   surreale, metaforica. Legato al “impero del caso e delle coincidenze”, ma allo stesso tempo ossessionato dal destino; il regista polacco delinea due persone che convergono in una sola: Weronika a Lodz e Véronique a Clermont-Ferrand vivono entrambe la stessa vita, nella stessa sembianza.

Weronika è una ragazza polacca dotata di una voce sublime la quale riesce e colorare il suo sogno di gloria ottenendo un’importante occasione come solista. La prima crepa nella sua esistenza si insinua quando per le strade di Cracovia, vede salire su un pullman una turista che ha il suo identico aspetto. È Véronique, il suo doppio. Questo incontro accidentale, le provoca un corto circuito. Non a caso il suo cuore è troppo debole per sostenere questo “scompenso” e durante un concerto è vittima di un infarto. Che Weronika non sia morta definitivamente lo si intuisce da una prima soggettiva riconducibile alla sua anima che vola sul pubblico nella sala da concerto; da lì a poco rincalzata da una seconda soggettiva, più ambigua, presumibilmente il suo stesso sguardo che osserva la terra coprirne la bara.

A Parigi, parallelamente, la francese Véronique, anche lei legata al mondo della musica, si sente assalita da un senso di solitudine dilaniante. Ha la sensazione che la sua vita debba prendere un’altra direzione e il caso vuole che il suo medico le comunichi una diagnosi inquietante: soffre di una grave insufficienza cardiaca. Nel momento in cui apprende che se continuasse a cantare rischierebbe di morire; Véronique fa una scelta opposta: annuncia il proprio ritiro a favore dell’insegnamento. Giorno dopo giorno inizia così a decifrare i segnali del passaggio di Weronika, incalzati da una serie di telefonate anonime e pacchi contenenti delle musicassette.

Il mittente è un marionettista: Alexandre. Tra i due nasce una relazione e sarà proprio questa figura allegorica a permetterle di appropriarsi dell’altra sé stessa quando le fa notare che in una foto scattata durante il suo viaggio in Polonia c’è una donna uguale a lei: è Weronika. La chiusa del film apre a un nuovo inizio. Alexandre costruisce una marionetta con le sembianze di Véronique, e visto che ne costruisce anche un’altra per sicurezza, comincia ad inventare la storia di due donne identiche nate lo stesso giorno, in città diverse ma unite da un filo invisibile. Vuole chiamare questa storia “La doppia vita di…” ma non riesce a isolare il nome giusto.

Dopo circa venticinque cortometraggi, quattro progetti televisivi, tra cui lo straordinario “Decalogo” e cinque film, mai giunti interamente al grande pubblico ma ognuno di essi custode di un messaggio profondo, Krzysztof Kieślowski dà vita a “La doppia vita di Veronica”. Correva l’anno 1991, Francia e Norvegia entrarono in co-produzione a supporto di Leonardo De La Fuente, Sławomir Idziak come direttore della fotografia e Zbigniew Preisner nelle vesti di compositore rafforzarono il sodalizio con l’autore e all’impeccabile cast polacco si unì Irene Jacob – la quale avrebbe vinto il premio come miglior interprete femminile al Festival di Cannes.

Kieslowski ha spiegato come l’idea originale della pellicola parlasse di un uomo che ritornava dal mondo della morte. Il regista avrebbe infatti creato un aldilà in cui, al pari della vita, vigeva un desolante senso di tristezza e incompiutezza, seppure quel limbo offrisse una possibilità: tornare sulla terra. Eppure, per quanto Kieslowski avesse cercato di isolare un motivo per giustificare questa decisione, non riuscì a trovarlo perché a suo dire, la vita dopo la morte avrebbe in ogni caso dovuto elevare lo scomparso a un livello in qualche modo superiore.

Sono diverse le curiosità inerenti al film. In primo luogo, Ii compositore Van den Budenmayer, citato nel film, in realtà non esiste, e la sua musica è opera di Preisner. Tra l’altro Kieślowski usa tale nome fittizio sia nel “Decalogo 9” sia in “Tre Colori – Film Blu”. Il regista ha inoltre voluto omaggiare Dante Alighieri con la scena del concerto: le parole del testo cantato da Weronika sono l’incipit del Secondo Canto del Paradiso. In esso Dante ammonisce i propri lettori a ben considerare le proprie forze, poiché il prosieguo del viaggio costituisce materia ardua e del tutto nuova. Kieslowski in origine, per i ruoli del marionettista e di Veronica, aveva pensato rispettivamente a Nanni Moretti e Andie MacDowell. Per la protagonista venne poi contattata Juliette Binoche che però fu costretta a declinare l’offerta, in quanto occupata con le riprese di “Gli amanti del Pont-Neuf”. Fecero in seguito un provino Julie Delpy e Irène Jacob, che riuscì ad ottenere la parte. Curiosamente, queste ultime tre attrici saranno le protagoniste dei tre episodi della Trilogia dei Colori. Altra scelta curiosa è che Weronika in una scena vede dalla finestra una vecchietta che porta due buste pesanti e le chiede se può aiutarla. La stessa vecchietta si vedrà in “Tre Colori – Film Blu” e “Tre Colori – Film Rosso”. Infine, il 13 marzo del 1996 anche Krzysztof Kieślowski morirà in seguito a un intervento al cuore.

La doppia vita di Veronicaè una delle opere più intense, più poetiche e al tempo stesso tragiche di Krzysztof Kieślowski. Nel regista polacco la profondità affiora in superficie. La ricerca epica di sé stessi, la consapevolezza di non potersi opporre fino in fondo al proprio destino, di essere marionette in balia di un oscuro burattinaio, il coraggio di andare incontro all’attimo più buio senza distogliere lo sguardo.  

One comment

  1. enrica falcini

    Come sempre uno sguardo interessante e interessato che riesce a incuriosire

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