Espiazione, il senso di colpa incancellabile

È un caldo giorno d’estate del 1935 e l’Inghilterra sta per imbarcarsi in una nuova guerra seppure l’alta borghesia, personificata nella famiglia Tallis, cerca di non pensarci, almeno a eccezione dell’assente padre di famiglia regolarmente costretto a intrattenersi a Londra. Ad assorbire la signora Tallis è invece l’incessante emicrania, nonché l’arrivo nella villa in campagna dei nipoti: Lola e i gemelli. Non meno impegnativa è l’accoglienza che desiderano riservare al figlio maggiore, Leon, in arrivo con un amico, tale Paul Marshall, ricco proprietario di una fabbrica di cioccolato che ha ideato delle barrette che punta a imbucare nella sacca dei soldati britannici. Emily ha pure altre due figlie: la mezzana Cecilia e la minore di dieci anni Briony. Se la prima è combattuta, frenata, tra e dalle scelte da compiere per il suo futuro – e causa di ciò si renderà conto essere i sentimenti inconsci che la legano a Robbie, figlio della donne delle pulizie -, la seconda è una tredicenne egocentrica, ma in primo luogo provetta scrittrice in quanto dotata di una immaginazione senza confini. Sono queste le basi su cui si posa Espiazione di Ian McEwen che, in quel preciso giorno, fa accadere una catena di eventi destinati a distruggere la vita di due persone. Forse tre.

Tutto ha inizio con un frangente di tensione tra Cecilia e Robbie mal interpretato da Briony a cui alcune ore dopo il ragazzo darà una lettera da consegnare alla sorella maggiore – letta di nascosto dall’aspirante scrittrice – che, nonostante fosse una copia “spinta” della versione che Robbie intendeva far avere a Cecilia, al contrario la renderà consapevole del sentimento che da sempre prova per lui. Briony però, troppo concentrata sulla propria visione del mondo, fraintende – o vuole fraintendere – tutto; e quando la serata si conclude con la sparizione dei gemellini, a cui segue un’assurda violenza consumata in giardino sulla cugina Lola; vede – o vuole vedere – nello stupratore quel Robbie che in realtà sarà colui che il mattino dopo riapparirà con i due piccoli fuggitivi.

L’accusa di Briony cambia ogni cosa. Cambia Robbie, che dopo l’umiliazione della prigione per un atto mai commesso, si getta nell’assurdità della guerra. Cambia Cecilia, che si allontana dalla famiglia, restando in attesa dell’uomo da lei amato disperatamente e conclude ogni lettera invita al fronte con la stessa frase: «Io non me ne vado. Ti aspetterò. Torna da me». Eppure nessuno tornerà più. Nemmeno Briony tornerà veramente: lacerata dal senso di colpa, presta servizio come infermiera, e decide di modificare quella testimonianza figlia della sua fantasia, del suo egoismo, di un acredine forse maturata perché lei, da bambina, per un giorno, forse, si innamorò persino di quel ragazzo che le preferì la sorella maggiore.

Briony decide di riscrivere il passato in modo che i colpevoli diventino innocenti: ma di quei tempi, quando era possibile imbattersi in brandelli umani sbalzati sugli alberi dalle deflagrazioni delle bombe, quando in corsia vengono parcheggiati ragazzi che al di sotto delle bende è visibile il cervello senza più una scatola capace di contenerlo; in quei giorni il concetto di colpevolezza e innocenza si era irrimediabilmente svalutato. Perché quell’accusa mossa tanti anni prima anticipa tempi in cui tutti sono colpevoli e tutti sono innocenti. E Briony, che cerca di espiare le proprie colpe aiutando quei soldati, che cerca di cancellare il passato, come d’incanto capisce che non è evitando di uccidere, non è salvando qualcuno che potrà sentirsi di nuovo bene quando in coscienza sai di aver lasciato morire almeno due persone.

L’immensità di Espiazione – trasportato con successo in un film di Joe Wright con protagonisti Keira Knightley e Jams McAvoy – si esprime non solo nel contenuto, anche nella forma in cui esso è proposto. McEwan-Briony decidono la sorte dei loro personaggi tramite la scrittura, eppure entrambi lasciano spazio a una rilettura degli eventi. È quella l’espiazione più profonda, più sentita. È quella, così come per Cecilia era Robbie, una ragione non di vita, ma per vivere.