Le idi di marzo, il lato oscuro della politica

«Vattene! Vattene ora, finché ne hai l’occasione. Datti allo spettacolo, alla finanza, apri un ristorante in Costa Rica… Qualsiasi cosa! Fa qualcosa che ti renda felice. Se resti in questo ambiente ancora a lungo diventi indifferente, cinico». Tom Duffy – a cui Paul Giamatti ha dato il volto – urla con spontanea disperazione queste parole in faccia al suo avversario politico, Stephen Meyers – che ha preso vita grazie al sublime Ryan Gosling – brillante addetto stampa per la campagna elettorale dell’affascinante Mike MorrisGeorge Clooney, governatore della Pennsylvania e candidato alle primarie democratiche per la presidenza, in lotta con il giurassico senatore dell’Arkansas Ted Pullman; per l’appunto appoggiato da Duffy. Le Idi di marzo si avvicinano e Duffy lo mette in guardia, seppure quando ormai è troppo tardi. La politica è la vita di Stephen, così dice, così ripete, invischiato com’é dentro alla bolla di speranzeidealiillusioni, su cui è incentrata la politica del “suo uomo”.

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Une liaison pornographique, ma pornografico è un sentimento

«Era solo una relazione pornografica. Era solo sesso, una fantasia che avevamo bisogno di soddisfare». Lo chiariscono entrambi, sin dai primi minuti, i protagonisti di Une liaison pornographique, quando viene proposta una intervista in parallelo, anni dopo essersi consumato il tutto, davanti a una telecamera azionata da non si sa chi e per quale pro, così come mai si scoprirà quale sia quella fantasia che li spinge l’uno a pubblicare un annuncio con tutti i dettagli del caso e l’altra a sfogliare una rivista a luci rosse, alla ricerca di un qualcuno disposto a mettersi in gioco, di praticare quel desiderio inconfessabile.

I due si incontrano in un caffè e dalla poche battute si campisce che, per quanto ironici, non sono due esibizionisti: lei, interpretata da Nathalie Baye, ha forse dieci-quindici anni più di lui, il cui volto è legato alle fattezze di Sergi Lopez. Poche chiacchiere e si dirigono in un hotel dove la telecamera li segue dalla reception su per le scale, lungo il corridoio, per infine fermarsi davanti alla porta  della camera.

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Il sesto senso, come riscattare il passato

La risoluzione di un enigma si nasconde nel passato. Accade spesso nel dramma e nei thriller, ancor più se psicologici, e così pure Il sesto senso, opera prima di M. Night Shyamalan si nutre di questo elisir di lunga vita che, se nelle mani giuste, può rigenerarsi con trame e strutture se non originalissime, di certo mai deludenti. Che il regista di origine indiana, ventinove anni ai tempi dell’uscita del film, sia geniale lo rafforza il fatto che non nasconde mai la direzione verso cui lo spettatore deve guardare: «Voglio dirti il mio segreto»; accenna Cole Sear [Haley Joel Osment], di appena nove anni, allo psicologo Malcolm Crowe [Bruce Willis]. Incapace di accettare il divorzio dei genitori, Cole non riesce a integrarsi a scuola ed è spesso vittima di atti di bullismo da parte dei compagni che lo ritengono strano. In verità, è semplicemente stanco di avere paura perché il suo segreto, inconfessato per almeno 45 minuti di pellicola, è che: «vedo la gente morta».

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